Imola: 3 gare della Ferrari meravigliose

Redazione
28 Ottobre 2020
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Imola 1982

Abbiamo scelto una carrellata di imprese delle monoposto del Cavallino rimaste indelebili nella memoria degli appassionati. Ecco il racconto.

Trends: Formula 1

Dire “Imola” vuol dire, inequivocabilmente, dipingere di “Rosso Ferrari” ciò che si intende esprimere. Il “circuito del Santerno” è, anche per via della sua denominazione ufficiale (“Autodromo Enzo e Dino Ferrari”) terreno di caccia privilegiato per il Cavallino. Il calore degli appassionati, l’appartenenza di entrambi (Ferrari e tifosi) alla “Motor Valley” emiliano-romagnola, fanno sì che l’autodromo dove domenica 1 novembre 2020 la Formula 1 tornerà a correre dopo quattordici anni di assenza sia carico di vicende memorabili per le monoposto di Maranello.

Episodi che sanno di vittoria, certo; ma che ammantano il successo con un alone fiabesco che li rende indimenticabili e, per questo, eternamente scritti a caratteri d’oro nel grande libro del motorsport.

>> GP di Imola: albo d’oro

1982: la doppietta Pironi-Villeneuve

Ovvero: un “testa a testa” al calor bianco che porta l’esaltazione dei tifosi a livelli siderali. E anche per opera di Gilles Villeneuve che già tre anni prima (GP di Francia 1979) era stato protagonista di uno storico duello con René Arnoux per la conquista del secondo posto. Differenze sostanziali: il fatto di trovarsi, in questo caso, a Imola ed al cospetto dell’intero “popolo ferrarista”. Per di più, in un duello con il compagno di squadra. Questo è quanto avvenne al GP di San Marino 1982: un’edizione rimasta nella memoria di tutti gli appassionati come una delle più avvincenti imprese di sempre.

Polemiche regolamentari

Prima di rivivere le fasi di gara, un doveroso antefatto: nei giorni che precedevano il GP di San Marino 1982, era in atto una polemica sul peso minimo delle vetture che divideva Fisa (sotto la cui egida c’erano Costruttori e team di primo piano, praticamente tutti quelli che potevano permettersi di sviluppare e utilizzare i motori turbo) con a capo Jean-Marie Balestre, e Foca (di Bernie Ecclestone) che riuniva le Scuderie, per lo più inglesi, che spesso continuavano ad utilizzare il collaudatissimo Ford-Cosworth V8 aspirato. In patica, alcuni team Foca correvano con monoposto sottopeso (il peso minimo era 580 kg): alcuni serbatoi di bordo venivano riempiti di acqua nei pit stop e nelle verifiche post-gara. Un espediente con il quale si intendeva riequilibrare le prestazioni.

Il via a schieramento ridotto

Dopo il GP del Brasile, tuttavia, il Tribunale FIA aveva accolto un ricorso presentato da Ferrari e Renault, e decretato la squalifica per il vincitore (Nelson Piquet, su Brabham) e per il secondo assoluto (Keke Rosberg, su Williams). Ecclestone, in qualità di numero uno Foca, decise immediatamente per la linea dura, decretando il boicottaggio del GP di San Marino. Al via della corsa, che si tenne il 25 aprile 1982, si schierarono soltanto 14 vetture: Ferrari, Renault, Alfa Romeo, Osella, Toleman, Tyrrell ed Arrows. In pratica, tutti i Costruttori con motori turbo, o già in vista di adottare la sovralimentazione, e le scuderie con sponsorizzazioni italiane.

Renault in pole position, Ferrari da subito all’arrembaggio

Le qualifiche dissero bene alle due Renault, che ottennero la prima fila dello schieramento (pole position per René Arnoux, seconda posizione per Alain Prost). Subito dietro, le due Ferrari di Gilles Villeneuve e Didier Pironi. Lo start vide le quattro monoposto scattare in quest’ordine; tuttavia, già nel primo giro entrambi i ferraristi ebbero la meglio su Prost, il quale dovette poi ritirarsi per un problema all’impianto elettrico. Villeneuve, già protagonista di un personale “forcing” nei confronti della Renault di Arnoux, rosicchiava giro dopo giro il proprio distacco, fino a tentare il sorpasso sull’alfiere del team francese.

Un rocambolesco scambio di posizioni

Arriviamo alla ventiduesima tornata: Pironi sorpassa Gilles Villeneuve. Le due Ferrari sono, dunque, sempre seconda e terza. Al ventiseiesimo giro, il canadese si riprese la posizione d’onore, per tornare a far sentire il fiato sul collo ad Arnoux. Il sorpasso decisivo avvenne al ventisettesimo giro, ma durò poco: alla 31. tornata, Arnoux tornò leader. Durante il sorpasso, ne approfittò anche Pironi, che balzò nuovamente al secondo posto, salvo essere subito dopo ripreso da Villeneuve.

L’epico finale

Inizia qui il grande duello fra Villeneuve e Pironi, che fino al 45. giro (cioè fino al momento del ritiro di Arnoux) si svolgeva alle spalle del pilota Renault. I due ferraristi si avvicendarono più volte in seconda posizione (prima Pironi passa Villeneuve; poi è quest’ultimo a infilare il compagno di squadra ed installarsi alle spalle di Arnoux). Come detto, al 45. passaggio il canadese era secondo, terzo Pironi, quarto Michele Alboreto (Tyrrell) e, via via, Jarier, Salazar e Manfred Winkelhock. Al quarantaseiesimo passaggio, un piccolo errore di Villeneuve gli costò la prima posizione, agguantata da Pironi. I due della Ferrari proseguirono nella lotta: al 49. giro, in testa era nuovamente Villeneuve.

Atmosfera incandescente

A Imola, centinaia di migliaia di tifosi si stavano esaltando per quella che, agli occhi di tutti, era una magnifica impresa delle due Ferrari. Milioni di appassionati erano incollati alla TV. In effetti, la pista stava quel giorno scrivendo a caratteri cubitali un capitolo da antologia agonistica. La lotta fra Villeneuve e Pironi proseguiva senza sosta, e dai box (all’epoca le comunicazioni con i piloti avvenivano soltanto con i cartelli) l’apprensione regnava sovrana. Tanto che venne esposto un cartello con la scritta “Slow”. Come dire: ragazzi, state calmi e mantenete le posizioni.

Pironi balza in testa e…

Forse l’eccesso di agonismo, o chissà cos’altro: fatto sta che, imposizioni dai box o meno, Pironi al 52. giro infilò nuovamente Villeneuve. Il quale, come del resto tutti ben sapevano e come in più occasioni aveva avuto modo di dimostrare, era garantito che non sarebbe stato al gioco. Ed eccolo nuovamente in testa, quando alla conclusione dell’infuocato GP di San Marino mancava soltanto un giro. Posizioni congelate? Nemmeno per sogno. Ultimo giro: al Tamburello, Pironi si portò all’esterno di Villeneuve e, alla curva successiva, lo superò, andando a vincere la sua prima gara per i colori Ferrari.

Un successo dolceamaro

Ciò che avvenne già immediatamente dopo la bandiera a scacchi è ben noto agli appassionati, ed oggetto, da allora e fino ai giorni nostri, di molte e molte analisi che hanno fatto versare fiumi di inchiostro. La doppietta Ferrari, sì; ma anche – e di questo ne riparleremo molto presto – una enorme delusione da parte di Villeneuve, che di fatto si sentì derubato di una vittoria che egli sapeva dovesse e potesse essere sua.

1999: la “Rossa” torna vincente

Sedici anni: tanto durò il digiuno delle vittorie Ferrari ad Imola. L’ultimo dei due successi ottenuti da Ferrari al GP di San Marino datava al 1983: a vincere era stato Patrick Tambay, che – curiosità mai più ripetutasi – occupò il gradino più alto di un podio interamente nazionale (tre piloti francesi – Tambay, appunto; e, dietro di lui, le due Renault di Arnoux e Prost – nelle prime tre posizioni). Dopo di allora, non c’era più stata alcuna vittoria Ferrari ad Imola. Nel 1996, a Maranello era arrivato Michael Schumacher; e, gara dopo gara, ci si accorse che “le magnifiche sorti e progressive” stavano iniziando ad assegnare nuovamente al “Cavallino” un ruolo di primo solista.

Prima fila tutta McLaren

La stagione 1999 era in effetti iniziata bene per Ferrari, con Eddie Irvine vincitore (clamoroso) al GP di Australia. Le monoposto di Woking, tuttavia, dimostrarono di approfittare al meglio del mese abbondante di improvvisto “stop” a causa dell’annullamento del GP di Argentina, tant’è vero che la seconda prova stagionale, il GP del Brasile, vide entrambe le McLaren aggiudicarsi la gara. E a Imola, nel weekend del 2 maggio 1999, la prima fila dello schieramento fu tutta per i colori argento, con Mika Hakkinen in pole position e David Coulthard qualificatosi secondo. Dietro di loro le due Ferrari: e che il vento iniziasse a girare lo dimostra il distacco di Michael Schumacher (176 millesimi) e di Irvine (6 decimi) da Hakkinen.

Il “big mistake” di Hakkinen

Anche i campioni sbagliano, e di episodi di questo tipo le cronache ne son piene. La prima parte di gara vedeva Hakkinen saldamente in testa, seguito da Coulthard e dalle due Ferrari. Nonostante avesse già più di 10 secondi di vantaggio sul compagno di squadra, il campione del mondo in carica sembrava non voler concedersi alcuna tregua (forse anche in previsione della sosta ai box). Ma al 17. giro, ecco il colpo di scena: un errore alla Variante Bassa, affrontata con troppo impeto, causò ad Hakkinen la perdita di controllo della sua McLaren fino ad allora “schiacciasassi” e lo costrinse a terminare sul muro la propria gara.

L’irresistibile pressing di Schumi

In testa si trovò dunque David Coulthard, con 4 secondi di vantaggio su Michael Schumacher. La gara era tuttavia ancora lunga: si era soltanto al diciassettesimo giro su sessantadue previsti. Molto poteva ancora accadere, e d’altro canto le soste ai box non erano ancora state affrontate. Quale migliore occasione se non questa per dare il via alla rimonta? Ed ecco l’inizio della costante percussione nei confronti dell’unica McLaren rimasta in gara, e per giunta nello scomodissimo ruolo di lepre.

Due pit stop: strategia rischiosa

La giostra delle soste per il rifornimento e la sostituzione degli pneumatici ebbe inizio con la Stewart di Rubens Barrichello, seguito subito dopo dalla Jordan di Heinz-Harald Frentzen. Lassù, nelle prime due posizioni, la lotta proseguiva con Coulthard in testa “alla disperata” e Schumacher staccato, sì, di circa 3 secondi; ma sempre più determinato a farsi vedere negli specchietti della McLaren dell’avversario scozzese. Al 28. passaggio Eddie Irvine (e con lui Damon Hill) si fermò ai box per il pit-stop. La prima sosta di Michael Schumacher avvenne al 31. giro, e fu molto rapida: il “muretto” aveva infatti optato, per lui, una coraggiosa strategia di due soste. Avrebbe funzionato?

Schumacher balza in testa

Sì: ciò che avvenne dopo è da manuale di tattica. Bisogna saper prevedere ciò che potrebbero fare gli avversari, e nel contempo avere le antenne ben drizzate per cogliere le occasioni favorevoli al volo. Ed è ciò che, in pratica, accadde nella seconda metà di gara di quel GP di San Marino 1999. Al 35. giro Coulthard si fermò ai box, e ne ripartì in seconda posizione. In testa, manco a dirlo, ecco Schumacher, che inizia ad inanellare giro dopo giro una condotta di gara improntata al massimo forcing. Coulthard, dal canto suo, si trova a dover doppiare Olivier Panis e Giancarlo Fisichella, impegnati in un duello che di fatto impedisce allo scozzese di sopravanzarli.

La seconda sosta ai box

Coulthard riesce a doppiare Panis ma, innervosito, commette uno svarione di troppo alla Rivazza, che consente al francese della Prost di tornargli davanti. Tutto da rifare, insomma. E 7 secondi persi da Schumacher, tanto che il divario tra il ferrarista e l’alfiere McLaren aumenta a ben 16 secondi. Al 42. giro, ecco il secondo pit-stop per Schumacher, dal quale esce mantenendo la leadership con 4 secondi su Coulthard.

Amministrare per vincere

L’ultima fase di gara vide Schumacher impegnato a “controllarsi” in modo da poter amministrare il proprio vantaggio nei confronti di David Coulthard (un fattore essenziale, questo, anche perché “Schumi”, con il ritiro di Irvine avvenuto nel quarantaseiesimo passaggio, era rimasto unico portacolori Ferrari). Al termine del 62. passaggio, la bandiera a scacchi del GP di San Marino tornò a sventolare sopra il muso di una Ferrari: una vittoria attesa da sedici anni. Da notare, a dimostrazione dell’assoluta competitività del GP di San Marino 1999, l’enorme divario fra Schumacher e Coulthard ed i rispettivi avversari: dal terzo posto (Rubens Barrichello) in poi, tutti i sette piloti che terminarono la gara giunsero ad almeno un giro di distacco.

2006: la “Rossa” vince nel giorno dell’addio

La vittoria conquistata nel 1999 fu uno degli episodi che contrassegnarono l’inizio di quella che viene da allora ricordata come l’”era-Schumacher”: sei titoli mondiali Costruttori di fila (dal 1999 al 2004), e cinque corone iridate consecutive (dal 2000 al 2004) per il fuoriclasse tedesco che ha legato indissolubilmente la propria immagine ai colori di Maranello. Nel 2005, campione del mondo fu Fernando Alonso; l’asturiano si ripeté nel 2006. In quest’ultimo anno, a Imola si svolse la ventiseiesima edizione del Gran Premio di San Marino. E fu quella del commiato. Da allora, e fino al presente 2020, le monoposto della massima Formula non sono più tornate sui 5 km dell’”Autodromo Enzo e Dino Ferrari”. Come ideale omaggio all’ultima edizione del GP di San Marino, a vincere fu proprio Michael Schumacher. Il quale, va ricordato, con questo successo interruppe un digiuno che durava dal GP USA del 2005. Ma andiamo con ordine.

È subito pole position

Il feeling tra Schumacher e Imola (sette vittorie in totale per lui: ne riparleremo, promesso) ebbe un’ulteriore conferma, nel 2006, con la conquista della pole position (la sessantaseiesima personale), davanti alla Honda di Jenson Button distanziato di 19 centesimi, alla seconda monoposto giapponese di Rubens Barrichello (44 centesimi) ed a Felipe Massa, quarto al via con la seconde Ferrari a poco meno di un secondo dal tedesco poleman.

Obiettivo: interrompere il ruolino vincente Renault

Era chiaro, ai box Ferrari, che quel GP di San Marino dovesse significare il ritorno alla vittoria: non fosse altro per il fatto che si trattava, oltre al fatto di trovarsi al cospetto dei tifosi “di casa”, di stoppare l’offensiva Renault che arrivava ad Imola forte di tre vittorie consecutive.

Il caos nelle retrovie

Il via, quel 23 aprile 2006, vide le monoposto mantenere le posizioni, con Schumi in testa davanti a Button, ed un ottimo Massa che agguantò la terza posizione ai danni di Alonso e di Rubens Barrichello. La cronaca ricorda, subito dopo la partenza, una manovra azzardata di Yuji Ide (Super Aguri motorizzata Honda) nei confronti della Midland-Toyota condotta dall’olandese Christijan Albers e che comportò il capottamento di quest’ultimo (per fortuna senza alcuna conseguenza fisica) e la revoca della superlicenza per il giapponese.

Il balletto dei pit stop

Primi ad effettuare la rispettiva sosta ai box furono Button e Barrichello, seguiti dalle due Ferrari. In questo modo, al comando della gara si installò brevemente Juan Pablo Montoya (McLaren-Mercedes), fino a quando cioè anche il colombiano dovette fermarsi. La seconda sosta ai box per Jenson Button ebbe luogo durante il trentesimo giro.

Problema ai box per Button e leadership ad Alonso

E qui avvenne un episodio clamoroso: il bocchettone di rifornimento rimase incastrato. Button, ignaro di tutto, lo strappò nel ripartire, salvo fermarsi immediatamente dopo per far sì che i meccanici McLaren potessero estrarre il bocchettone. Notevolmente attardato, Button dovette lasciare il comando della gara a Fernando Alonso. Una serie di giri “a tutta”, culminati con il giro più veloce, prima di fermarsi anche lui ai box, per uscirne tuttavia dietro Schumacher.

Problemi di “graining” e Alonso ne approfitta

Il fuoriclasse tedesco fu, tuttavia, alle prese con un fenomeno di graining (formazione di grumi sul battistrada provocati da abrasione laterale che riducono l’aderenza della gomma), il che permise ad Alonso di recuperare notevolmente terreno (circa 10 secondi in 8 giri).

Tattica della doppia sosta

Il divario fra Schumacher ed Alonso, assottigliatosi giro dopo giro, venne interpretato dal muretto Renault attraverso un pit stop anticipato: si puntava cioè sul fatto che così facendo sarebbe stato possibile guadagnare, più avanti, decimi di secondo preziosi. Strategia immediatamente intercettata dal box Ferrari, che richiamò Schumi nel giro successivo (dopo, cioè, aver fatto registrare un nuovo “tempone” che gli consentì di rientrare in pista proprio davanti allo spagnolo della Renault).

Gli ultimi giri e la vittoria

Le fasi conclusive del GP di San Marino 2006 furono, in buona sostanza, “fotocopia” dell’edizione precedente, ma a ruoli invertiti: ovvero, con Alonso nei panni dell’inseguitore di uno scatenato Schumacher sempre più involato verso il settimo successo personale a Imola. A contribuire indirettamente al successo del tedesco e del “Cavallino”, due leggeri errori da parte di Alonso, che lo costrinsero a dire definitivamente addio a qualsiasi possibilità di agguantare il comando negli ultimi giri.

Gilles Villeneuve 1950-1982: la storia nelle immagini

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