Gilles Villeneuve: il ricordo di un mito

Redazione
08 Maggio 2020
Gilles Villeneuve

Trentotto anni fa (8 maggio 1982) il tragico incidente di Zolder: il piccolo canadese è rimasto un punto fermo nel cuore degli appassionati.

Trends: Formula 1

Cos’è la leggenda? È un “qualcosa” che travalica il tempo e lo spazio; dove i fatti diventano storia, e quest’ultima, da molti vissuta in prima persona, rimane ben fissata nella mente e nel cuore, e come tale viene raccontata. Mente e cuore, appunto; che sono poi loro a costruire il mito. Di questo alone di ricordi, molti protagonisti della vita pubblica sono circondati: figurarsi nello sport, che esprime sotto forma di agonismo l’eterna sfida con se stessi, prima che con gli avversari, verso la ricerca di un gradino sempre superiore ai propri limiti. Incidentalmente, avviene che se l’approccio alla competizione incontri la passione del pubblico che vi si identifica, la figura del protagonista entra in uno stato di grazia destinato a rimanere scolpito per molto, molto tempo. È così, fra gli altri (esempi non ne mancano) per Gilles Villeneuve, indimenticato canadese che per cinque stagioni infiammò il cuore dei tifosi della Ferrari (e non solo), “latino” nel proprio dialogo intimo con la monoposto per coraggio e carisma. L’8 maggio 1982, un vigliacco incidente, avvenuto a Zolder durante le qualifiche del Gran Premio del Belgio, lo strappò alla vita terrena per consegnarlo definitivamente al mito. Una giornata, della quale oggi (venerdì 8 maggio 2020) ricorrono i trentotto anni; e in un 2020 che coincide con i settant’anni dalla sua nascita (Saint-Jean-sur-Richelieu, 18 gennaio 1950).

Non fu un pilota come gli altri

La storia agonistica di Gilles Villeneuve racconta un pilota “fuori dal coro” per le proprie qualità agonistiche: come tutti i suoi colleghi, viveva il mestiere come una grande passione (e ci mancherebbe); a differenza di altri, tuttavia, il suo mettere al primo posto la competizione assoluta e la velocità, sotto qualunque dei rispettivi aspetti, lo rese immediatamente unico. A prescindere – o forse ciò fu una conseguenza diretta di come Gilles viveva le corse – dalle cifre raccolte nel personale carnet sportivo. Non che sei vittorie su 68 Gran Premi disputati siano un bottino disprezzabile, anzi: molti piloti metterebbero la firma a puntare verso un 10% di gradini più alti sul podio. Ciò che ha reso, e rende tuttora, unico Gilles Villeneuve, soprattutto da parte degli appassionati italiani, è l’assoluto coraggio, che a volte l’osservatore esterno poteva interpretare come incoscienza ma tale non era se non un fatto del tutto naturale per lui, profuso nell’affrontare “al limite e oltre” (ci si perdoni il termine) ogni occasione di guidare un mezzo di trasporto. Che fosse una monoposto di Formula 1 (una Ferrari, peraltro), o un motoscafo, l’elicottero o la propria vettura personale.

Lo chiamarono anche “Aviatore”

Da quarant’anni e più, Gilles Villeneuve viene da molti accostato a Tazio Nuvolari. In effetti, per spirito di competizione e modo di vivere le corse, “Nivola” e Gilles possono essere idealmente molto vicini. E, ad accomunare ulteriormente le due figure di per se lontanissime come epoche di riferimento, è il rapporto diretto che accomunò entrambi ad Enzo Ferrari. Confondendo le idee di chiunque pretendesse di conoscere il modus operandi del “Drake” di Maranello che metteva al primo posto le proprie vetture a discapito del gesto atletico del pilota, Gilles Villeneuve fu come un figlio da parte di Enzo Ferrari. Accompagnato passo passo nell’imparare a stare in pista in Formula 1, “perdonato” delle numerose incertezze nell’approccio alla monoposto – aveva debuttato in Ferrari alla fine del 1977 dopo avere disputato appena un Gran Premio, in Inghilterra, al volante della McLaren -, Gilles Villeneuve resta indissolubilmente legato a Maranello. Ed Enzo Ferrari lo difese sempre, anche dalle frecciate di una parte della stampa italiana che, nei primi tempi, osservandone le numerose uscite di strada, aveva coniato il termine di “Aviatore”, malignando che fosse più il tempo che trascorreva “in aria” che quello con le ruote ben piantate sull’asfalto.

Va detto che, forse anche per questo (ma non soltanto per questo), le sue vittorie in F1, seppure nient’affatto rare, con il senno di poi avrebbero potuto essere anche di più. Ed è anche per questo che alcune delle sue gare rimaste rimaste nel cuore degli sportivi non sono per forza ricondotte ad una vittoria.

Le sue imprese memorabili

Digione 1979

Chi abbina, ad esempio, il GP di Francia 1979 (disputatosi, quell’anno, sul circuito di Digione) al primo successo assoluto per Renault, per un motore turbo in F1 e per la prima delle due vittorie di Jean-Pierre Jabouille, che pure la monoposto in giallo-bianco e nero della “Marque à Losanges” che per ultima portava impressi sui coperchi delle valvole la “firma” di Amedeo Gordini aveva svezzato? La memoria di tutti è interamente rivolta all’epico duello “ruota a ruota” e sul filo dei millimetri con l’”altro Renault” René Arnoux. Una serie di giri, nelle fasi finali della corsa, ancora oggi indicati come massima espressione di agonismo. Tuttavia non si trattò di un “testa a testa” per il primo posto, bensì per la conquista della seconda posizione, che alla fine arrise proprio al ferrarista. E a dimostrazione di quanto detto, vale la stretta di mano ed il sorriso che i due si scambiarono sul podio. Una sfida del tutto naturale, proprio.

Zandvoort 1979

O, ancora, il GP di Olanda 1979 (che si tenne, come sempre, a Zandvoort) “su tre ruote”: la storia racconta, le immagini ben documentano e chi ha qualche capello grigio ricorda, di un fantastico duello fra Gilles Villeneuve ed Alan Jones, con l’australiano della Williams protagonista di un pressing nei confronti del ferrarista ed il testacoda di Gilles con successivo danneggiamento dello pneumatico posteriore sinistro che, causa un successivo “lungo” in staccata iniziò a “dechappare” per disintegrarsi del tutto quando Villeneuve, ingranata la retromarcia, tornò in pista e procedette su tre ruote fino ai box dove, agli esterrefatti meccanici ed al cospetto di Mauro Forghieri, chiese con la sua proverbiale candidezza di “riparare” il danno che avrebbe provocato.

Montréal 1981

Indimenticabile, poi, il Gran Premio del Canada 1981, che Villeneuve terminò in terza posizione… ma senza l’ala anteriore che, a due terzi di gara compiuti, si era staccata parzialmente, limitando peraltro la visuale al pilota. Senza scomporsi, Gilles si affidò ai cordoli del circuito “di casa” (Montréal) ed alle vibrazioni da questi provocate alla Ferrari turbo, per staccare definitivamente il “baffo”.

Le sue vittorie

Proprio a Montréal, sul tracciato che oggi porta il suo nome, Gilles Villeneuve aveva ottenuto, nel 1978, la sua prima vittoria in Formula 1, cui fecero seguito, nel 1979 – anno del titolo mondiale per Maranello e della corona iridata per il compagno di squadra Jody Scheckter – i GP del Sudafrica, di Long Beach (un “Grand Chelem” per lui: pole position, record sul giro in gara e gradino più alto del podio) e di Watkins Glen; e, nel 1981, quando cioè il pilota Gilles Villeneuve iniziava una personale maturità sportiva, a Monaco ed a Jarama.

Il 1982, consacrazione della leggenda

Ciò che avvenne nel 1982 fa parte di un racconto che molti ricordano come se il tempo non fosse trascorso. Non ci dilungheremo dunque molto nell’analisi di una parte di stagione che sarebbe stata la sua ultima.  L’anno di una ulteriore consapevolezza agonistica, accompagnata da una Ferrari che nella seconda stagione con il motore turbo iniziava ad esprimere una concreta competitività, l’affiatamento iniziale con il compagno di squadra Didier Pironi (beffardo il destino: anche il biondo francese sarebbe scomparso, cinque anni dopo) che l’anno precedente era approdato a Maranello in sostituzione del sudafricano Scheckter; almeno, fino al Gran Premio di San Marino, quel 25 aprile ad Imola rimasto controverso per gli strascichi del dopo-gara (Villeneuve, in testa, venne superato proprio all’ultimo giro da Pironi che vinse la gara: un “dispetto” nei suoi confronti, essendo Gilles convinto che dai box intendessero mantenere le posizioni per non rischiare di compromettere il primo ed il secondo posto).

Chi scrive, conserva nella mente quanto avvenne due settimane dopo, nel sabato delle qualifiche a Zolder: è il ricordo di chi, all’epoca bambino di neanche otto anni, iniziava proprio allora a seguire l’automobilismo sportivo, con l’assoluta passione che non ammette distrazioni come soltanto i bimbi sanno avere; e che, “subito”, vide una delle possibilità che nelle competizioni possono accedere: l’estremo volo.

Le ultime immagini di Gilles Villeneuve fanno umanamente stringere il cuore: sorvoliamo sui dettagli di quell’incidente che strappò Gilles, a trentadue anni, alla moglie Joanna ed ai figli Mélanie e Jacques – che quindici anni dopo, diventato campione del mondo di F1, idealmente chiuse il cerchio che Gilles aveva lasciato aperto -; e restiamo nella dolce nebbia dei ricordi. Che, sì, non fanno male; anzi, raccontano a chi li porta dentro di se tutto quello che si ha bisogno per vivere la propria passione. E questo, è innegabile, è un grande regalo che Gilles ci ha lasciato.

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