Le vittorie impossibili di Tazio Nuvolari

Francesco Giorgi
08 Agosto 2017
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Monza 1925, GP delle Nazioni: sulla Bianchi 350 “Freccia Celeste”, ferito, incrinato, dolorante, non potrebbe neanche alzarsi dal letto; invece corre, soffre e vince. Mille Miglia 1930: la leggenda della “Vittoria a fari spenti”. Nurburgring 1935: al GP di Germania l’apice del trionfo con la ormai superata Alfa Romepo P3 sulle strapotenti mercedes W25 e Auto Union Typ B.

Un immenso capitale umano, una tecnica frutto della più elevata arte nella progettazione; e, su tutti, un pilota provvisto di molte qualità, sulle quali svetta imprescindibile quella di non farsi sopraffare dal timore reverenziale suscitato dall’impatto, volutamente psicologico, con quella che in gergo militare viene chiamata “offensiva nemica”.

Tutto questo, con l’occhio di oggi, racconta alcuni degli episodi maggiormente rappresentativi per l’automobilismo da corsa italiano, e che portano tutti la stessa firma d’autore: Tazio Nuvolari. Tre “vittorie impossibili” per molti, perfettamente alla sua portata in virtù delle eccezionali qualità tecniche e morali che per trent’anni (dal 1920 al 1950) hanno contribuito a costruire la leggenda del “Mantovano Volante”. La più antica nel tempo risale al 1925, vede Monza quale teatro di sfida, e la Bianchi 350 “Freccia Celeste” nel ruolo di cavallo di battaglia; la seconda si snoda lungo i 1.600 km della Mille Miglia 1930, la prima delle due vittorie di “Nivola” alla “Freccia Rossa” e quella nella quale venne superata la media di 100 km/h; la terza, ha il sapore dorato dell’epica: è il trionfo “contro tutto e contro tutti” della piccola e ormai superata Alfa Romeo P3 sulla “armata tedesca” al Nurburgring 1935.

Impresa “impossibile” a Monza nel 1925                                                

Tecnicamente avanzata, la Bianchi “Freccia Celeste” (dal colore “Celeste Bianchi” del telaio) realizzata dalla casa milanese nel 1924 portava in dote – innovazione di rilievo nel panorama motociclistico italiano dell’epoca – la distribuzione a doppio albero a camme in testa comandata da una cascata di ingranaggi a coppie coniche. Ma anche la fabbricazione del serbatoio del carburante in due gusci saldati, per evitare squuilibri di stabilità della moto in curva dovuti allo sbattiento della benzina. E, poi, una ciclistica “bassa”, a differenza delle più grandi Indian e Harley-Davidson, progettata per giocare un ruolo di seria concorrente nei confronti delle inglesi Norton e Sunbeam.

In forza alla Bianchi già dall’anno precedente (e con i galloni di campione italiano), Tazio Nuvolari – che, nei suoi primi anni di carriera sportiva “ufficiale” alternava impegni in auto a competizioni sulle 2 ruote – inizia il proprio cammino nella leggenda. Che ha una data e un luogo precisi: Autodromo di Monza, 1 settembre 1925. Di lì a poco vi si sarebbero svolti due degli appuntamenti di primo piano nel panorama sportivo internazionale: il GP d’Italia (auto) e il GP delle Nazioni (moto). Interessati a saggiare le capacità dell’ancora giovane Tazio Nuvolari con le poderose Alfa Romeo P2, i vertici del Portello lo invitarono ad una sessione di prove, per valutare se il piccolo mantovano tutto nervi e controllo sarebbe potuto essere un valido sostituto di Antonio Ascari, che il 26 luglio a Monthléry, durante il GP di Francia, aveva trovato la morte sulla P2.

Il “provino” di Tazio Nuvolari si dimostra convincente da subito: “Nivola”, come sarebbe stato soprannominato poi, inanella tempi di rilievo giro dopo giro, addirittura superando quanto fatto registrare dall’asso “di casa” Giuseppe Campari e avvicinandosi al primato 1924 di Antonio Ascari. Tuttavia, gli pneumatici, già usati, non reggono il ritmo di Nuvolari. Lo stesso dicasi per i freni. Alla seconda di Lesmo, il dramma: la P2 esce di strada, si capovolge. Tazio Nuvolari viene estratto dall’abitacolo (sottosopra) con numerose ferite in tutto il corpo. Se va bene, sentenziano i medici dell’ospedale di Monza dove è stato ricoverato, sarà in piedi in non meno di un mese.

Troppo, per uno come lui che scalpita per essere al via del GP delle Nazioni di Monza; troppo, anche per i dirigenti della Bianchi, infuriati per l’esito drammatico del provino sostenuto con l’Alfa Romeo P2 e timorosi che il loro corridore di punta non potrà essere in piedi (letteralmente!) entro una decina di giorni.

Che fare? Nuvolari non ci pensa su due volte: ha deciso di correre, e correrà, anche per dimostrare ai centauri di oltremanica che l’apice tecnico e sportivo non è rappresentato solamente da Norton e Sunbeam: l’Italia ha, nella Bianchi “Freccia Celeste”, una valida competitor nei loro confronti.

Nonostante le ferite e le incrinature, che lo tengono completamente fasciato, Tazio si fa confezionare, su propria indicazione, su “disegno” del proprio medico curante e con l’aiuto di un valido artigiano, uno speciale corsetto di cuoio, che lo tenga fisso nella sua tipica posizione in sella alla moto: “giù basso” e con il petto appoggiato al serbatoio.

Non sono, in ogni caso, rose e fiori: prima, a dargli filo da torcere, ci pensa la febbre conseguenza delle ferite, che si abbassa soltanto a poche ore dal “via” della corsa. Poi, il fatto che, fasciato o no, dovrà sopportare ben 300 km di gara: un calvario, al quale si aggiunge il fatto che, in caso di emergenza, non può scendere da solo di sella.

Come da copione, la gara vede il duello fra lo stesso Tazio e gli specialisti inglesi (su tutti: il campione europeo Jimmy Simpson su AJS, e Wal Handley su Rex Acme). Le prime fasi vedono un’alternanza in testa di Nuvolari e lo stesso Handley; successivamente, Simpson balza in avanti. La seconda parte di gara è, per “Nivola”, un calvario: dolorante e quasi stordito dall’infortunio che si porta addosso, resiste con tutto ciò che può (coi denti, con lo spirito, con la speranza di non cadere altrimenti sarebbe un dramma), conduce un lungo duello con l’alfiere della Rex Acme. Come gli capiterà molte volte negli anni a seguire, deve recuperare il distacco dal rivale in quel momento in testa. Come fare? C’è solo una possibilità: innervosire il concorrente, obbligarlo a tirare il collo al motore e costringerlo prima o poi a un errore o a cadere vittima di una défaillance meccanica, ipotesi quest’ultima tutt’altro che remota.

Il grande attacco che regala a Tazio Nuvolari il primo importante momento di leggenda arriva proprio all’ultimo giro: la Rex Acme di Wal Handley inizia improvvisamente a perdere colpi. Ha chiesto troppo alla sua 350. E mentre ai box dirigenti e tecnici della Bianchi osservano lo scorcio di circuito, ecco saettare una scia celeste e un guizzo rosso: sono la Bianchi 350 e il colore della maglia di Tazio Nuvolari che tagliano per primi il traguardo di Monza. La folla è in delirio: Tazio viene sollevato di peso dal sellino della Bianchi e portato in trionfo. A Indro Montanelli racconterà, molti anni dopo, un fatto curioso: “Avvertii i piedi sguazzarmi dentro gli scarpini come quando si va a caccia in palude: ‘Quanta acqua!’, pensai. E invece era il sangue colato dalle ferite…”. Verità o leggenda? Con Tazio Nuvolari non si sa mai…

Alla Mille Miglia del 1930, con i fari spenti

È, questa, una storia che gli appassionati conoscono bene: il primo successo di Tazio Nuvolari alla Mille Miglia (concederà il “bis” nel 1933, con Decimo Compagnoni a fianco e al volante della Alfa Romeo 8C 2300 spyder Zagato; ma consacrerà la propria immagine nella Storia dell’automobilismo con le imprese del 1947 e, soprattutto, del 1948, che lo salutarono vincitore morale).

La prima vittoria di “Nivola” (nel frattempo, i tifosi stavano inziando ad affibbiargli questo soprannome che sa di dinamismo e leggerezza, per quell’assonanza con “nuvola”) porta la data del 12 e 13 aprile 1930. E, come “cavalcatura”, la Alfa Romeo 6C 1750 GS spyder Zagato. Nel ruolo di coéquipier (anzi: “meccanico”, come era obbligatorio avere a bordo nelle gare di durata su strada aperta), l’allora capo-collaudatore del “Portello”, Giovanni Battista Guidotti. Di fronte a loro, 1.639 km di galoppata da Brescia a Roma e ritorno, attraverso la Pianura padana e gli Appennini, dall’Adriatico al Tirreno. Su strade soltanto raramente asfaltate (e solo in prossimità dei centri urbani); per il resto, terra battuta e sassi.

Soprattutto, di fronte a Tazio Nuvolari, c’è Achille Varzi, il galliatese di ghiaccio, agli antipodi di Nuvolari per tattica di gara e carattere. I tifosi italiani avevano costruito, fra Nuvolari e Varzi, un dualismo che, dai primi “conflitti” sportivi sulle moto, si era nel frattempo trasferito al volante. Per di più, Varzi, in coppia con Carlo Canavesi, è suo compagno di squadra. Due vetture esattamente uguali: a Brescia, però, il vincitore sarà solo uno.

La Mille Miglia del 1930 è passata alla storia per due motivi: il primato infranto dei 100 km/h di media (Nuvolari impiegherà 16 ore e 19 minuti a completare l’intero tracciato, ad una media di 100,450 km/h) e per l’alone di leggenda che sarà raccontato da Giovanni Battista Guidotti. Ovvero: la celebre “vittoria a fari spenti”.

Dopo una lotta immediatamente corpo a corpo con Varzi-Canavesi, il duo Nuvolari-Guidotti giunto a Firenze venne informato di essere sostanzialmente a pari tempo con Achille Varzi; lo stesso ad Ancona. Finalmente, a Bologna un leggero vantaggio per Tazio. Dopo avere ceduto il volante a Guidotti, che mantiene la guida della Alfa Romeo compressore fino a Vicenza (dove al controllo venne avvertito di un leggero recupero da parte di Varzi), Tazio torna alla guida, per colmare nuovamente il vantaggio.

L’episodio-leggenda prende il via a Primolano, località nei pressi di Cismon del Grappa, in territorio vicentino. L’ora, ancora buia, costringe i piloti a tenere accesi i fari. Improvvisamente, amava raccontare Guidotti, di fronte a loro si para da lontano la luce di un fanalino rosso. Non ci sono dubbi: è Achille Varzi, partito qualche minuto prima di Nuvolari.

Inizia l’inseguimento, che si potrae fino a Verona, sempre alle calcagna della Alfa di Achille Varzi e Carlo Canavesi. E qui avviene il colpo di scena: Guidotti suggerisce a “Nivola” di spegnere i fari. Un’idea pazza, folle, tenuto conto che il duello si svolge sul filo dei centocinquanta all’ora, e nel buio della campagna veneta. Un cenno di “Nivola”, e Guidotti chiude l’interruttore dei tre fari. Varzi crede, a questo punto, che il rivale abbia mollato la presa, o che stia tirando un poco il fiato.

È un attimo: anche Achille rallenta. Se Tazio molla l’osso, anche lui può concedersi un pochino di tranquillità. E qui avviene “il fattaccio”: improvvisamente, tra Peschiera del Garda e Desenzano, una sagoma scura si affianca ad Achille; il quale, sulle prime, sembra non accorgersene. Canavesi, voltandosi, la vede e fa cenno al suo pilota, il quale – dirà la leggenda – girata la testa, mormora solo due parole: “È lui…”. La psicologia ha avuto la meglio sulla velocità pura. A ridimensionare un po’ la leggenda, ci sarebbe comunque l’orario stimato del sorpasso (intorno alle 5 di mattina) quando stava già albeggiando, quindi non proprio nell’oscurità. In ogni caso il vincitore della quarta Mille Miglia sarà Tazio; Achille magnifico secondo, a undici minuti di distacco e 99,348 km/h di media: un’inezia, in una cavalcata di 1.639 km.

Nurburgring 1935: tra le curve dell’Inferno Verde

Ottantadue anni fa esatti, era il 28 luglio, la collaudatissima Alfa Romeo P3 (monoposto uscita dalla matita di Vittorio Jano più di tre anni prima, e per questo ancora più gloriosa, perché nonostante l’anzianità di progetto seppe tenersi alle spalle la muta di ultrapotenti, e costantemente aggiornate, “frecce d’argento” tedesche) costruì, ai comandi di “Nivola”, il trionfo che, per un giorno, offuscò le svastiche naziste e cancellò il sorriso di prammatica dai volti dei gerarchi del “Fuhrer” e delle centinaia di migliaia di tifosi accorsi in massa sul tormentatissimo tracciato dell’Eifel, sicurissimi di una vittoria germanica. Oltre duecentomila spettatori (alcune fonti riportano quasi 300.000 presenze) affollavano quel giorno le tribune e gli immensi prati che circondano i saliscendi lungo i 22,835 km della Nordschleife intorno agli abitati di Adenau, Nurburg e Mullenbach.

Sulle 172 curve del tracciato, in mezzo alle pendici boscose dell’Eifel, due squadroni argento si allineano alla partenza: si tratta delle temibilissime Mercedes W25 da 430 CV sovralimentate con un compressore volumetrico Roots (in quel 1935 già vittoriose al GP di Tripoli sul crcuito della Mellaha, e all’Avus) la cui prima guida è Rudolf Caracciola che già idealmente mostra con orgoglio l’anello di “Ringmeister” – onore che viene riservato a chi abbia già ottenuto tre vittorie al Nurburgring -; e le arrembanti oltre che rivoluzionarie Auto Union Typ B dal motore 5 litri 16 cilindri a V (375 CV) in posizione centrale alle spalle del pilota.  La Stella a Tre Punte conta su Hermann Lang, Manfred von Brauchitsch, Hans Geier e l’italiano Luigi Fagioli da Osimo. Di fronte, il marchio dei Quattro Anelli schiera l’eterno rivale di “Nivola”, Achille Varzi, l’asso emergente Bernd Rosemeyer, Paul Pietsch e il lungo bavarese Hans Stuck dalla lunghissima carriera che terminerà soltanto a metà degli anni 60.

Quale preoccupazione potrebbe arrivare da una Alfa Romeo carica di tre sfiancanti stagioni di corse (la P3, seppure aggiornata, rimaneva sempre il geniale progetto di Jano: leggera, agile, relativamente potente ma pur sempre realizzata a cavallo fra il 1931 e il 1932)? Inoltre, in virtù della “formula 750 kg” entrata in vigore nel 1934, l’industria tedesca – Mercedes assente da alcuni anni dalle competizioni; e il consorzio Auto Union -, che conta sugli appoggi pressoché illimitati da parte del Reich quanto a ricerca tecnologica, mette sul tavolo lo sviluppo di leghe ultraleggere, che permettono di contenere il peso delle monoposto, appunto, a 750 kg e, nel contempo, il costante sviluppo della resa dei rispettivi propulsori.

Le cronache riportano un episodio da leggenda già prima del via: al mattino, Tazio Nuvolari chiese al “tuttofare” di Alfa Romeo, Nello Ugolini, di reperire, presso la Direzione gara, una bandiera italiana nuova al posto di quella issata lungo il rettifilo di partenza, che agli occhi di “Nivola” appariva logora e sbiadita. Forse, in cuor suo, Nuvolari sa già di essere “in giornata”: in una delle sue giornate, nelle quali non ce n’è per nessuno, dove l’uomo sovrasta la macchina.

È in questo scenario che viene abbassata la bandiera del “via” a quello che sarà ricordato come uno dei Gran Premi più eroici della storia. Davanti ai musi delle monoposto, ci sono da compiere 22 giri del Nurburgring, per un totale di ben 502 km.

Primo episodio clamoroso: Hans Stuck rimane “al palo”, il motore della sua Auto Union si ammutolisce; sopraggiunge un meccanico, che viene travolto dalla monoposto gemella di Achille Varzi. Dalla concitazione esce in testa la Mercedes di Caracciola, inseguito proprio da Tazio Nuvolari unico guizzo rosso in mezzo alle macchie argento di Fagioli, Rosemeyer e von Brauchitsch.

All’undicesimo giro, von Brauchitsch passa davanti alle tribune in prima posizione: alle sue spalle c’è Fagioli, terzo è Caracciola. Ma il campione marchigiano, più avanti, si arrenderà al tedesco di lontane origini italiane.

Colpo di scena (immancabile!) al dodicesimo giro: bisogna pensare ai rifornimenti. Il primo a sostare ai box è proprio Tazio Nuvolari, imitato nell’ordine da Caracciola, von Brauchitsch e Rosemeyer. Ma non può esserci impresa storia senza contrattempi: ed ecco l’improvvisa rottura della leva che comanda la pompa di rifornimento del carburante. I meccanici della Scuderia Ferrari sono costretti ad utilizzare il “tradizionale” (e lunghissimo) metodo dell’imbuto per abbeverare la P3 di Nuvolari.

Il disastro sembra compiuto: lo “scherzo” costerà a Nuvolari più di due minuti, quanto basta per osservare le Mercedes e Auto Union schizzare in corsa apparentemente indisturbate.

Gerarchi del Reich, spettatori tedeschi, dirigenti e meccanici di Mercedes e Auto Union non hanno più dubbi: l’ultimo terzo di gara sarà all’insegna del duello argento. O una o l’altra, vincerà una monoposto tutta tedesca.

Nessuno ha tuttavia fatto i conti con la  personalità di “Nivola”, un uomo per il quale “Mai” e “Sconfitta” appaiono concetti astratti. Ed ecco la rabbia del piccolo uomo in maglietta gialla e pantaloni azzurri, gilet di cuoio nero e spilla d’oro a tartaruga che gli era stata donata tre anni prima da Gabriele D’Annunzio (“all’uomo più veloce del mondo, l’animale più lento”).

Attenzione: non è una rabbia cieca. Ben conscio delle proprie possibilità, del progetto di Vittorio Jano e della meticolosità con la quale la sua P3, dietro specifica richiesta, era stata preparata in previsione del difficilissimo impegno, Nuvolari imposta una personale tattica di costante picconatore. Senza forzare come un forsennato, ma nello stesso tempo giocando anche sulla notevolissima agilità della sua rossa Alfa (che, non va dimenticato, soffre meno l’usura degli pneumatici rispetto alle ultrapotenti rivali tedesche), Nuvolari rosicchia giro dopo giro il divario che lo separa dal vertice. È comunque, la sua, una escalation da leggenda, che viene contrastata per quanto è possibile con spasmodiche danze tra asfalto e barriere da parte delle Mercedes e Auto Union.

L’urlo lacerante delle Mercedes dal volumetrico Roots e il rombo profondo della mai doma P3 di Nuvolari infiamma il pomeriggio del Nurburgring: l’epica dell’automobilismo ha i suoi prim’attori.

Von Brautchisch affronta l’ultima tornata (che sono comunque quasi 23 km!) con mezzo minuto su “Nivola”. È qui che il nobile alfiere della Mercedes commette l’errore che gli sarà fatale: non essendosi fermato in precedenza a sostituire gli pneumatici, essenziali per scaricare a terra i 430 CV della sua W25, si accorge di dover affrontare il giro finale in condizioni drammatiche. Tuttavia, non molla la presa: la vittoria dovrà andare a Mercedes. Tutto ciò che può fare, è sperare che le gomme, già del tutto consumate, “tengano”.

Qualche minuto: soltanto alcuni istanti lo separano dalla bandiera a scacchi. Nel frattempo, sulle tribune in fermento, i massimi esponenti del Reich si preparano a scendere dal palco d’onore per congratularsi con von Brautchisch (e, soprattutto, per offrire una nuova passerella della supremazia germanica). La bandiera con la svastica inizia ad essere innalzata.

La monoposto argento, tuttavia, è in ritardo. Cosa succede? Attimi di nervosismo. E sul traguardo giunge una scia rossa. Alcuni credono che si tratti di un “doppiato”. Ma è un’impressione che dura una frazione di secondo: quanto basta per accorgersi che si tratta proprio di Tazio Nuvolari. Il grande battuto von Brauchitsch ha dovuto rallentare proprio negli ultimi chilometri per non compromettere con un disonorevole ritiro la propria gara: sarà quinto.

Dietro il trionfatore ci sono l’Auto Union del regolare Hans Stuck (a 2’14” di distacco quasi un terzo di giro), la Mercedes di caracciola e la seconda Auto Union di Rosemeyer. Luigi Fagioli è sesto, Varzi (primo dei doppiati: una beffa per lui!) è ottavo.

Increduli, i rappresentanti del regime nazista “devono” incoronare Tazio Nuvolari quale trionfatore:lo fanno, ma senza eccessive manifestazioni di entusiasmo. Non sarà lo stesso da parte degli spettatori, che ben più sportivamente si lanciano in un lungo applauso che saluta “Nivola” quale mattatore del pomeriggio al Nurburgring.

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