Anche la Lear chiede il Chapter 11

Francesco Giorgi
07 Luglio 2009
Anche la Lear chiede il Chapter 11

Uno dei più grandi produttori di componentistica ha chiesto il Chapter 11: Lear trascinata in bancarotta dalla forte crisi dell’auto USA

Uno dei più grandi produttori di componentistica ha chiesto il Chapter 11: Lear trascinata in bancarotta dalla forte crisi dell’auto USA

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La crisi dell’automotive non risparmia i fornitori, al di qua e al di là dell’Oceano. E’ notizia di oggi che la Lear, una delle più importanti aziende a livello mondiale specializzata nella produzione di interni e componenti elettronici per auto, ha presentato al Governo degli Stati Uniti domanda perché le venga accordata l’amministrazione controllata: il Chapter 11 che, negli ultimi mesi, sta andando pericolosamente di moda nel settore dell’automobile.

I dirigenti della Lear hanno presentato i documenti alla Corte fallimentare del distretto sud di New York, lo stesso tribunale che nei giorni scorsi hanno dato il “via libera” alla New Company per la General Motors. Da parte della Lear, i libri contabili indicano disponibilità patrimoniali per 1,27 miliardi di dollari e debiti per ben 4,54 miliardi; pur risultando, nelle statistiche, all’undicesimo posto nel 2008 fra i Gruppi del settore della componentistica automotive a livello mondiale.

Secondo i dati amministrativi, la mazzata più grave è arrivata lo scorso 1 Giugno, quando non si è potuto procedere al pagamento per 38 milioni di dollari sui dividendi azionari; ma è chiaro che le sorti dei Gruppi automobilistici di Detroit abbiano altresì giocato un ruolo di primo piano nella vicenda.

La Lear, come altre aziende USA del comparto, è stata colpita in maniera notevole dai tagli alla produzione che hanno interessato la Chrysler e la General Motors. Proprio quest’ultima è il cliente più importante per la Lear, che nel 2008 ha venduto al Marchio di Detroit prodotti per il 23 per cento delle sue vendite globali. La Ford, dal canto suo, è il secondo cliente: l’anno scorso, ha fruttato alla Lear il 14 per cento delle vendite.

Ma non è bastato ad evitare che l’azienda chieda la messa in amministrazione controllata: la perdita secca registrata nel 2008 è stata di 690 milioni di dollari. Secondo i dati registrati dall’agenzia Bloomberg, per la Lear il 2008 è stato il terzo anno “in rosso” dal 2005, e da quando fece il proprio debutto nei listini della Borsa di New York (1994).

Nella sua storia ultra novantennale (venne fondata nel 1917), la Lear ha saputo conquistarsi la fiducia dei grandi Gruppi di Detroit (Ford e GM in testa), negli anni ’90 ha operato numerose acquisizioni nel settore dell’automotive e, ultima in ordine di tempo, nel 2004 aveva acquisito l’azienda tedesca di componenti elettrici Grote & Hartmann.

E però, questo non è bastato a garantire alla Lear il mantenimento di una personale nicchia di mercato. Non sono servite nemmeno le ricerche per un ampliamento dell’attività nei mercati asiatici: il tracollo dei “Giganti dai piedi d’argilla” di Detroit ha trascinato con sé una buona parte dell’indotto. Lear compresa, appunto.

Bob Rossiter, Amministratore Delegato della Lear, non può fare altro che apparire – per quanto gli è possibile – fiducioso: “I nostri affari saranno portati avanti come sempre. Siamo molto contenti del supporto ricevuto da parte dei nostri finanziatori e azionisti in merito al piano di ristrutturazione che abbiamo chiesto ai Tribunali”.

Verrebbe da pensare che non ci sarebbe altra scelta, da parte degli azionisti, se non accettare: in questo casi, si pensa a salvare il salvabile.

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