Brexit e UE, quali conseguenze per l’industria automotive UK

Redazione
04 Febbraio 2020
Nissan Qashqai: produzione a Sunderland

Il comparto dell’auto nel Regno Unito non festeggia l’uscita dall’Unione Europea: ecco il possibile scenario della filiera all’indomani della Brexit.

La Brexit, ufficializzata allo scoccare della mezzanotte del 31 gennaio 2020, inciderà sulla produzione automobilistica di oltremanica? In quale misura? Come si comportano le Case costruttrici presenti nel Regno Unito e quali conseguenze l’epocale “Bye Bye” dato all’Unione Europea porterà con se? Lo scenario della filiera automobilistica UK è quanto mai complesso. E ciò che avverrà, a breve termine, appare difficilmente pronosticabile. È tuttavia chiaro che la preoccupazione, fra i “big player” di settore, c’è.

Produzione ed esportazione diminuite

A questo proposito, sebbene si eviteranno eccessivi dazi e le “barriere nascoste” recentemente paventati da SMMT-Society of Motor Manufacturers and Traders (ovvero l’Associazione che raggruppa le Case costruttrici UK), appare evidente che, quanto più il comparto automotive è ben presente oltremanica, tanto più le conseguenze si faranno sentire. Cifre alla mano, la filiera dell’auto impiega direttamente 168.000 unità (corrispondenti a circa il 14% dell’intero settore dell’industria); a queste, occorre aggiungerne 279.000 operanti nell’indotto (aziende e società esterne e servizi collegati al comparto dell’auto). E il volume di produzione, nel 2019, ha totalizzato circa 1,3 milioni di veicoli, prodotti dalle aziende europee e orientali presenti oltremanica: quantitativo che, in relazione all’anno precedente, ha corrisposto ad un -14,2%. Calo in parte dovuto all’incertezza legata alla Brexit che si è protratta per due anni. E se la diminuzione del prodotto è stata piuttosto notevole, è se mai ancora più importante considerare che – come del resto indicato dalla stessa SMMT in una news riportata dalla BBC e citata in un “lancio” Ansa – l’81% delle autovetture prodotte nel Regno Unito è destinata all’esportazione, e la maggioranza delle quali prende la via dei Paesi UE. Ebbene: nel 2019, l’export UK-UE è diminuito dell’11,1%.

Ecco le difficoltà

La Brexit “dura” è stata scongiurata; tuttavia, e riallacciandosi a quanto accennato, è facilmente individuabile l’incertezza che continua a serpeggiare fra le Case costruttrici che nel Regno Unito possiedono almeno un sito produttivo. Così come è altrettanto evidente che il comparto dell’auto UK non sarà più lo stesso. Il “taccuino delle priorità” individua, fra i punti all’ordine del giorno e rispetto all’attuale asset, la necessità di procedere ad omologazioni ad hoc per gli autoveicoli fabbricati nel Regno Unito e che saranno destinati all’esportazione nell’Unione Europea; un possibile rallentamento della filiera logistica in funzione dei controlli doganali oltre la Manica dunque tempi più lunghi per l’approvvigionamento di parti staccate; e preoccupazione per il mantenimento dei posti di lavoro. E l’eventualità è che, senza un “agreement” a livello politico, con il trascorrere del tempo nuovi ostacoli possano affacciarsi sulla già delicata situazione del comparto auto UK.

Prezzi delle vetture in aumento

Ciò vale anche in ragione del fatto che pur nel post-Brexit, i Paesi al di qua della Manica dovrebbero restare confermati in qualità di mercati-chiave per la produzione automobilistica del Regno Unito. La stima avanzata da SMMT e riportata da Ansa ipotizza, nel dopo-Brexit, un rincaro medio di 1.500 sterline (circa 1.790 euro) al prezzo di vendita delle autovetture, il cui costo finale al cliente è, attualmente, di 22.700 sterline (poco più di 27.000 euro). Come accennato, questo andrebbe a verificarsi in ragione della consolidata integrazione della filiera automotive europea – nonostante il fatto che lo spettro della Brexit “dura e pura” sia scongiurato – nella quale, osserva l’amministratore delegato della Society of Motor Manufacturing and Traders, Mike Hawes, i componenti, le parti staccate e gli autoveicoli finiti attraversano più volte le frontiere durante il processo di produzione. Per questo motivo, dagli uffici SMMT si chiede che un “deal” commerciale venga raggiunto, e al più presto.

C’è timore fra le Case costruttrici

Psa Groupe, Bmw Group attraverso Mini e Rolls-Royce, Aston Martin che riceve le unità motrici da Daimler AG, Ford, Nissan, Honda, Toyota, il Gruppo VAG attraverso Bentley e Jaguar Land Rover: sono, questi, i maggiori Gruppi automobilistici presenti nel Regno Unito. Honda ha da qualche mese (sebbene per ragioni non strettamente correlate alla Brexit) deciso dal 2021 per la chiusura del proprio complesso industriale di Swindon, ed è in fase di riorganizzazione dei programmi di produzione attuali secondo i quali il 90% di Honda Civic che vi viene assemblato (160.000 unità) è destinato all’esportazione. Ford potrebbe rivedere in maniera notevole la produzione della propria lineup nei tre storici siti industriali UK (ovvero Bridgend per i modelli a benzina; Dagenham per le vetture diesel; Halewood per la produzione dei gruppi trasmissione, ai quali si aggiunge il grande centro R&D con sede a Dunton, nell’Essex, in cui operano più di 3.000 tecnici). “Preoccupazione” in merito all’eventuale impatto negativo della Brexit è stata espressa da Aston Martin (che dall’Europa, e nello specifico da Daimler AG, riceve i motori AMG) e Rolls-Royce. Nissan, che già nell’autunno 2019 aveva annunciato l’addio alla produzione di Sunderland (il crossover Juke, il medium-SUV Qashqai e la elettrica Leaf) in caso di “hard-Brexit”, sembrerebbe avere organizzato un “piano B” che, al contrario, concentrerebbe la produzione proprio nel grande stabilimento di Sunderland a discapito dei siti di Barcellona e della Francia, con l’obiettivo di tagliare la produzione UE nel caso che sugli autoveicoli provenienti dal Continente e destinati al Regno Unito vengano applicati i dazi. Si tratta di una indiscrezione riportata dal Financial Times, tuttavia Nissan ha negato l’esistenza di un “piano di emergenza”.

Mini posticipa la nuova generazione?

Dal canto suo, riferisce una notizia pubblicata da Automotive News Europe, la nuova generazione di Mini, “erede” dell’attuale serie che viene allestita sulla piattaforma modulare UKL1 nelle storiche linee di montaggio di Oxford (nel Regno Unito) e negli impianti olandesi di Born (UE), sarebbe stata “posticipata”, per volere dei vertici di Bmw Group, proprio a causa dei costi e del clima di incertezza del post-Brexit relativamente ai dazi sull’export dal Regno Unito e verso quest’ultimo. Secondo la notizia riportata dall’edizione europea del magazine di Detroit, Bmw avrebbe scelto di tenere una condotta di prudenza, in un’ottica di investimenti su larga scala, fino a quando l’esito dei negoziati UK-UE su un accordo commerciale non sarà definito con certezza.

Cosa può cambiare per chi si reca in UK con la propria vettura

Al di là delle questioni di stretta competenza politica ed industriale, può essere interessante sapere se, all’indomani della Brexit, le conseguenze possano farsi sentire anche per chi, dai Paesi UE, si rechi oltremanica al volante della propria auto. Al momento, essendo l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea appena iniziata, tutto resta come prima: ovvero, non si richiede il possesso della patente internazionale. Resta inteso che occorre avere con sé la carta verde che indica il nominativo del conducente assicurato, la targa del veicolo ed il periodo di copertura dell’assicurazione. Il “periodo di transizione” dovrebbe terminare il 31 dicembre 2020: per il 1 gennaio del prossimo anno potrebbero, dunque, profilarsi ulteriori e sostanziali modifiche a livello assicurativo. Tutto è condizionato dal risultato dei negoziati; sembra in ogni caso poco probabile che il Governo di Londra richieda la patente internazionale agli automobilisti europei. Staremo a vedere.

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