Emissioni, Anfia: diesel indispensabile per raggiungere i limiti CO2 al 2021

Francesco Giorgi
12 Aprile 2019
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La moderna alimentazione a gasolio non va demonizzata: se supportata da paralleli strumenti di sviluppo dell’elettrificazione, può aiutare concretamente il raggiungimento della soglia di emissioni.

Altro che “caccia alle streghe”: la decisione di demonizzare il diesel, da tempo assunta a livello politico e seguita a ruota dalla necessità dei big player del comparto automotive di eliminare una buona “fetta” di programmi di produzione turbodiesel, potrebbe rivelarsi addirittura controproducente se si intende perseguire gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 a breve termine. Ad evidenziarlo, questa volta, è Anfia: l’Associazione nazionale che raggruppa le aziende della filiera automobilistica, punta il dito sulla necessità di non mettere definitivamente da parte il gasolio (ovviamente di nuova generazione), se si vuole che la “famosa” soglia di 95 g/km di CO2 stabilita entro fine 2020 venga raggiunta. L’indicazione Anfia è stata diffusa, nelle scorse ore, a corredo di un’analisi sull’andamento del mercato della propulsione alternativa su scala europea, in cui fra l’altro viene additata una precisa strategia di accusa nei confronti della mobilità a gasolio (all’indomani, va detto, del “Dieselgate” oggi considerato evento-spartiacque ai fini dei nuovi programmi di “boost” ai sistemi di propulsione elettrificata), definita “agenda anti-diesel”.

Moderni diesel in aiuto ai nuovi limiti sulle emissioni

Come dire: il diavolo non è così brutto come lo si dipinge; o, per lo meno, non lo è se lo si considera all’attuale grado di evoluzione (nello specifico: i moderni motori a gasolio, dotati di filtro antiparticolato e sistema di riduzione catalitica selettiva Scr per contenere le emissioni di particolato e dei “famigerati” ossidi di azoto al centro dello scandalo esploso nell’autunno 2015).

Anfia, in questo senso, non ha dubbi: l’attuale generazione di motori turbodiesel può, anzi, rappresentare un adeguato compromesso fra le necessità di costo industriale e l’impatto ambientale. Nulla di strano se, quindi, i programmi strategici a medio-lungo termine sui taccuini delle priorità delle Case auto annoverino piani di sviluppo di nuovi modelli a gasolio.

Appare eloquente, in questo senso, quanto l’Associazione nazionale della filiera automotive asserisce: “Per raggiungere il target del 2021 di 95 g/km di CO2 nell’Unione Europea, occorre che la media delle emissioni si riduca ancora di 23,5 g/km, un’impresa impossibile senza il contributo delle auto nuove diesel, che producono meno CO2 delle auto a benzina, o senza un aumento esponenziale di auto elettriche, impensabile con l’attuale rete infrastrutturale di ricarica e senza un sostegno economico prolungato alla domanda, visto il mix del mercato”.

Auto elettriche: urgono programmi di espansione

Ben vengano, dunque, i progetti di espansione dell’auto elettrica; a patto che vengano sostenuti da parallele strategie di aiuto al suo sviluppo: nella fattispecie, concreti incentivi all’acquisto che durino nel tempo ed ampliamento delle infrastrutture per la ricarica.

Del resto, è notizia di questi giorni uno studio Jato Dynamics (qui il nostro approfondimento), secondo il quale – sulla base delle emissioni di anidride carbonica registrate nel 2018 dai produttori di autovetture che hanno singolarmente venduto più di 300.000 esemplari lo scorso anno – la media di CO2 in eccesso rispetto ai 95 g/km di prossima soglia europea è nell’ordine di 24,7 g/km: quantitativo che potrebbe costare decine di miliardi di sanzioni complessive se, entro il 2021, non si corra ai ripari. Di più: come faceva notare Automotive News, il generale aumento delle emissioni di CO2 sarebbe causato da più fattori concomitanti: l’aumento delle vendite per i veicoli di segmento SUV (tecnicamente tendenti ad essere in media più pesanti e meno efficienti dal punto di vista aerodinamico, dunque meno “sobri” nei consumi di carburante in rapporto alle “normali” berline), i programmi di messa al bando dei diesel (più e meno “datati”) in alcune aree urbane, e in conseguenza di ciò una aumentata incertezza nei consumatori in previsione dell’acquisto di una nuova auto. Sembrerebbe, anzi, che tutto questo si sia ritorto contro la stessa propulsione a gasolio, nonostante la relativa tecnologia di nuova generazione sia ben più efficiente riguardo alle emissioni di anidride carbonica rispetto ai motori a benzina.

Nelle scorse settimane, inoltre, il ForumAutoMotive sulle tematiche di mobilità che si è tenuto a Milano (qui il nostro approfondimento) ha portato all’attenzione del pubblico due studi, a cura di, rispettivamente, AlixPartners ed Unione Petrolifera (UP), sodalizio che raggruppa i big player nazionali e che operano in Italia nelle attività legate alla trasformazione del petrolio ed alla relativa distribuzione nella filiera di consumo, e nei quali è emerso come, sulla base delle effettive emissioni prodotte da modelli di autoveicoli in circolazione, sia stata proprio la diminuzione delle auto a gasolio (calate dal 55,8% al 43,2% sul totale) ad avere aumentato, nei primi due mesi del 2019, la media delle emissioni di CO2, nello specifico da 112,8 g/km a 121,5 g/km; contestualmente, è stato evidenziato che un’auto a gasolio di ultima generazione (vale a dire già rispondente agli standard Euro 6) emette il 95% in meno di ossidi di azoto in rapporto ad una Euro 0, ed il 96% in meno rispetto ad una Euro 1. E ancora: le emissioni di PM2,5 dai moderni motori diesel Euro 6 vengono ridotte a livelli trascurabili; inoltre, è emerso che 100 grammi di PM vengono emessi in circa 20.000 km da un’auto Euro 6, mentre lo stesso quantitativo di polveri sottili viene raggiunto da un impianto di riscaldamento a biomassa (pellet) in appena 32 ore. Per non parlare delle “grandi cilindrate”: un moderno automezzo pesante Euro 6 possiederebbe valori di emissioni fino ad otto volte inferiori rispetto ad un Euro 3.

Mercato: brusco calo del diesel in Europa

Analisi “di parte”, si obietterà; tuttavia è altrettanto chiaro, nell’analisi dei dati di mercato, che sebbene nel 2018 le immatricolazioni nei 28 Paesi UE ed EFTA abbiano fatto registrare valori pressoché analoghi a quelli archiviati nel 2017 (-0,04%), ad avere subito le conseguenze più pesanti è stato proprio il comparto diesel, nel 2018 calato del 18% e che ha ceduto otto punti percentuali di quota (dal 44% al 36%), ed è stato maggiormente sentito nei principali mercati continentali: Italia, Francia, Germania, Spagna, Regno Unito, Svezia e Belgio. Per converso, sono aumentate le immatricolazioni di autovetture a benzina, il cui parco circolante 2018 è cresciuto del 12%, andando ad occupare il 56% del mercato; ed è stata registrata una crescita anche fra le autovetture ad alimentazione alternativa (+28% sul 2017 e 8% di quota di mercato conquistata).

La “caccia all’untore” (leggi il diesel, appunto) rischia quindi di ritorcersi contro le stesse Case auto: “Verosimilmente – prosegue il commento Anfia sui dati di mercato – anche per il 2018 si determinerà, come per l’anno precedente, un aumento delle emissioni medie di CO2 delle nuove auto vendute, dovuto al fatto che le auto a benzina (in crescita) producono più emissioni di CO2 delle auto diesel (in calo costante) e che l’incremento delle auto ad alimentazione alternativa, pur in forte crescita, non è sufficiente ad abbassare il livello medio delle emissioni delle nuove auto immatricolate. Proprio sul fronte ambientale, dunque, l’agenda anti-diesel ha rallentato i progressi sui cambiamenti climatici”.

Si cerca di correre ai ripari

I big player, per non rischiare di incorrere in sanzioni (95 euro per ogni g/km di CO2 prodotto da ogni vettura immessa in circolazione dal prossimo anno oltre i 95 di soglia europea fissati per il 2021) corrono ai ripari: il Gruppo VAG ha recentemente innalzato l’asticella della propria strategia di sviluppo di nuovi modelli elettrificati (investimenti per 30 miliardi entro il 2023, programma di lancio per circa 70 nuovi modelli eco friendly a fronte dei 50 originariamente preventivati, e previsioni di produzione per 22 milioni di veicoli complessivi “contro” i 15 che si stimava fino a qualche mese fa); altri, come Fca con Tesla, fanno ricorso al “pooling”.

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