Porsche 914: i cinquant’anni della “baby” di Zuffenhausen

Francesco Giorgi
23 Maggio 2019
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914

Il 2 giugno, in occasione del mezzo secolo, al Museo Porsche di Stoccarda un raduno saluterà il Giubileo della coupé-targa a motore centrale che all’epoca venne poco capita e oggi piace molto di più.

Oggi piace: come si dice, sono i corsi ed i ricorsi della storia, che la patina del tempo ammanta di nuove occasioni di riscatto per ciò che in passato ebbe fama di “brutto anatroccolo”. O, quantomeno, non visse una esistenza delle più felici. È da sempre così per le persone, non di rado “riabilitate” dai posteri (tranne alcune oggettive eccezioni, ci mancherebbe!); e, ovviamente, ciò avviene anche nel settore dell’auto, comparto che per propria natura è soggetto al mutare delle mode e delle condizioni sociali ed economiche del mondo. Ed ecco il… piccolo miracolo che adesso, in pieno 21. secolo , regala alla neo-cinquantenne Porsche 914 quel piacere di essere maggiormente desiderata adesso di quanto non lo fosse mezzo secolo fa, al momento della sua presentazione che avvenne al Salone di Francoforte del 1969.

Se dieci anni fa (qui il nostro approfondimento sui quarant’anni), Porsche 914 era stata celebrata al Museo Porsche all’epoca di recente rinnovamento con l’esposizione di una delle due 914/8 (otto cilindri a V e 300 CV) realizzate alla fine del 1969 per pronosticarne un impegno agonistico ufficiale che, in pratica, non avvenne mai – l’esemplare in questione apparteneva a Ferry Porsche, al quale era stato consegnato in occasione del suo 60esimo compleanno – nel presente 2019 il Giubileo della “piccola” frutto della collaborazione tra Volkswagen e Porsche è anch’esso imminente: l’appuntamento per tutti gli appassionati e possessori della prima “Cavallina” di Zuffenhausen a motore centrale e due posti secchi è per il 2 giugno, “ovviamente” al Museo Porsche di Stoccarda. In programma, anche l’esposizione di alcune delle “specialissime” a loro tempo allestite: la stessa 3.0 V8, ma anche la prima 914 che uscì dalle linee di montaggio, e l’unità che venne impiegata come safety car in pista.

Porsche 914, a lungo – e, diciamolo francamente: in maniera un po’ ingiusta – considerata “Porsche dei poveri” (alcuni, più positivamente, la additavano come “Volkswagen dei ricchi”, che è un po’ la stessa cosa) è in realtà, agli occhi del connoisseur, bella per proporzioni e per coraggio stilistico. E caratterizzata dalla consueta cura nelle finiture e nella scelta dei materiali da sempre fiore all’occhiello Porsche. Per di più, in possesso di un fascino personale discreto, forse un po’ “interiore”, che può non colpire al primo sguardo. In ogni caso, non certo un modello per chi non voglia passare inosservato. Del resto, l’impostazione di stile brilla per nobiltà ed eleganza: la “matita” di Karmann.

Doveva essere la “sportiva per tutti”

Al momento del vernissage ufficiale (Francoforte 1969), la novità era stata salutata come concretizzazione di un progetto volto a realizzare la “vettura sportiva per tutti”. Quindi: “pepata” ma non eccessivamente, ed in ogni caso in possesso di una meccanica a tutta prova. Doveva, in estrema sintesi, essere chiamata a recitare un ruolo di erede della breve (per carriera di produzione: appena quattro anni) Porsche 912, “sorellina minore” della bestseller 911 che già a fine anni 60 rappresentava, per Porsche, il modello-simbolo.

Porsche 914: venne proposta in due versioni

In un certo senso, la novità 914 avrebbe dovuto anche affiancare quest’ultima, e poi – ma un giorno – magari sostituirla sul mercato. Ecco, quindi, la proposta di una variante “baby” (1679 cc a iniezione elettronica Bosch, 80 CV e architettura derivata in tutto e per tutto dal Maggiolone, a cominciare dalla distribuzione ad aste e bilancieri) e, alto di gamma, la 914-6, che dietro alla coppia di sedili profilati di nuovo disegno montava il 6 cilindri Boxer della 911 T: 1991 cc, alimentato da due carburatori tricorpo Weber 40IDA, 110 CV e distribuzione ad albero a camme in testa. Ad accomunare entrambe le varianti, la soluzione di corpo vettura Coupé-Targa, in virtù del tettuccio rigido rimuovibile, che una volta tolto poteva essere collocato dietro al motore, in posizione orizzontale. E il doppio bagagliaio, uno anteriore uno posteriore, da 460 litri di capienza complessiva.

Un iter di progetto travagliato

Occorre tuttavia tenere conto di una particolare – e di certo non facile – gestazione del progetto, che non aiutò certo la nuova arrivata: il programma per una nuova “piccola Porsche” risaliva infatti a metà anni 60, quando cioè la produzione della leggendaria 356 si avvicinava al capolinea e la lineup di Zuffenhausen veniva “aperta” dalla ben più recente 912. Per l’occasione, nel 1966 si provvide – a firma dello stesso Ferry Porsche e di Heinrich Nordhoff, amministratore delegato Volkswagen – alla nascita di una joint venture con l’obiettivo di produrre una vettura “entry level”. Tuttavia, Nordhoff scomparve durante le fasi preliminari del programma, ed il successore Kurt Lotz (il top manager che nella prima metà degli anni 70 avrebbe dato il via al radicale “new deal” VW che di fatto prosegue tuttora) domandò l’annullamento dell’accordo stipulato dal predecessore, in ordine di permettere che la nuova 914 potesse debuttare a marchio VW. Ciò portò ad alcune incomprensioni fra i management, alle quali si ovviò con un escamotage: la presentazione del prototipo all’IAA 1919 con il doppio marchio VW-Porsche. Sembrava la quadratura del cerchio, eppure fu questo uno degli elementi che da subito fecero sì che l’accoglienza della novità si dimostrò “fredda”: appunto, “Volkswagen dei ricchi” o “Porsche dei poveri”? Due etichette che le rimasero appiccicate addosso a lungo, tant’è vero che le vendite scarseggiarono, nonostante la proposta in due allestimenti per entrambe le varianti: “Standard” ed “S”, quest’ultima riconoscibile per la centina abitacolo in vinile nero, finiture dedicate e gli immancabili cerchi in lega Fuchs. Inutilmente ne venne tentato un “lancio” sportivo all’altezza del blasone Porsche, che culminò con un terzo posto assoluto al Rallye Monte Carlo del 1971, con Bjorn Waldegard al volante. Bene, ma non benissimo.

La seconda serie… nata già stanca

Nel 1972 arrivò la seconda serie, che ad un moderato facelift aggiungeva l’adozione di un’unità motrice Volkswagen 1.971 cc ad iniezione da 100 CV (pochini!) in sostituzione del precedente Porsche 6 cilindri 2 litri; aggiornato anche il motore di ingresso alla lineup: non più il 1.7, ma un suo “derivato” dalla cilindrata portata ad 1,8 litri e “cavalleria” sempre un po’ esigua per i gusti degli appassionati: soltanto 85 CV. Era chiaro che la 914 sembrava proprio non piacere più né a Porsche né a Volkswagen. Ed infatti, la seconda generazione fu un po’ il canto del cigno per la effimera biposto a motore centrale, che quando nel 1975 venne definitivamente tolta di produzione non sorprese nessuno.

A conti fatti, in sei anni, Porsche 914 venne prodotta in 115.000 esemplari. Non pochi per una Porsche, tuttavia ben di meno rispetto ai 30.000 annui che i vertici di Zuffenhausen avevano stimato durante le fasi di progetto. Ma nella prima metà degli anni 70 a Zuffenhausen stavano portando avanti un nuovo ambizioso programma: quella che, nel 1976 (anno del debutto) sarebbe stata la Porsche 924.

Porsche 914 compie 40 anni

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