3 settembre 1939: quando Nuvolari vinse il GP, in guerra

Francesco Giorgi
03 Settembre 2019
Tazio Nuvolari su Auto Union Typ D

La gara si disputò a guerra di fatto iniziata: l’atmosfera era irreale, regnava l’incertezza. A vincere fu Tazio Nuvolari, con l’Auto Union Typ D.

Trends: Auto d'epoca

Spesso i grandi avvenimenti politici e sociali si incontrano con lo sport: in alcuni casi, poi, avviene che dietro lo spirito che anima l’agonismo vi siano precisi obiettivi di egemonia nazionale. In questi giorni, il mondo intero ricorda gli ottant’anni trascorsi dal 1 settembre 1939, in cui la corazzata tedesca Schleswig-Holstein, all’ancora nel porto di Danzica, cannoneggiò la stazione navale polacca di Westerplatte. Erano le 4 del mattino; subito dopo, le truppe del “Reich” si spinsero oltre il confine, mentre la Lutwaffe prese ad attaccare le basi militari e le installazioni dell’esercito polacco: questo episodio, conosciuto oggi come primo atto della “Campagna di Polonia”, di fatto rappresentò l’inizio della Seconda Guerra mondiale.

L’ultimo GP prima dello stop bellico

Oggi (3 settembre) decorrono ottant’anni da due ulteriori avvenimenti: la dichiarazione ufficiale di guerra alla Germania di Hitler firmata da Gran Bretagna (con Australia, Nuova Zelanda e India) e Francia; e la disputa del GP di Belgrado. Fu, la competizione che si tenne il 3 settembre 1939 su un circuito cittadino della capitale serba, l’ultimo Gran Premio internazionale prima dello “stop” imposto dagli eventi bellici; incidentalmente, venne disputato mentre, di fatto, le ostilità internazionali avevano già avuto inizio. Dunque già in una atmosfera bellica.

L’ultima vittoria di “Nivola” con l’Auto Union

E, per gli storici di automobilismo, è l’ultima vittoria “argento” (dal colore della sua monoposto) per Tazio Nuvolari, che riportò il successo finale – in una giornata comprensibilmente poco gioiosa per il rutilante susseguirsi delle vicende belliche, in evoluzione ora dopo ora – al volante della Auto Union Typ D, seconda versione dei “siluri di argento” che per motivi regolamentari intervenuti in previsione della stagione 1938 erano passati da 16 cilindri e quasi 6 litri a poco meno di 3 litri e 12 cilindri, ma con l’adozione di due compressori volumetrici a doppio stadio.

Una sfida tra colossi tedeschi

Il GP di Belgrado, fortemente voluto dalla regina Maria di Yugoslavia per celebrare il sedicesimo compleanno di Pietro II, aveva richiamato, alla fine di quell’agosto poi divenuto storico per le vicende che nei sei anni successivi avrebbero sconvolto gran parte del mondo, più di 100.000 spettatori, accorsi per seguire la sfida “testa a testa” fra i due colossi dell’automobile dei quali Hitler si serviva manifestamente per evidenziare alle Nazioni la supremazia tecnica della Germania del Terzo Reich. Mercedes e Auto Union avevano, nelle stagioni precedenti, letteralmente spazzato via le glorie di Alfa Romeo, Bugatti, Delage, fino a rimanere regine pressoché indiscusse delle competizioni internazionali.

L’incertezza prima del via

Nelle ore immediatamente precedenti il Gran Premio, che si snodava intorno alla cittadella fortificata “Kalemegdan” comprendeva quattro gare per autovetture e tre competizioni motociclistiche, le truppe tedesche avevano invaso la Polonia: si ricorda, fra l’altro, che a capo delle Divisioni motorizzate c’era Walther von Brauchitsch, zio di Manfred von Brauchitsch, uno degli “assi” della Mercedes che avrebbe terminato la corsa al secondo posto, ma soltanto dopo avere tentato, nelle ore precedenti la corsa, di lasciare l’albergo nel quale la squadra Mercedes aveva stabilito il proprio quartier generale, per fare ritorno a Berlino in aereo: il “grande capo” Mercedes, Alfred Neubauer, raggiuntolo in extremis, ingiunse al suo pilota di tornare indietro e di presentarsi regolarmente al via.

Di fatto, la linea di partenza vide schierate soltanto quattro vetture: le Mercedes dello stesso von Brauchitsch e di Hermann Lang, le Auto Union di Tazio Nuvolari ed Herman Müller, più la Bugatti Type 51 privata del concorrente locale Boško Milenović. Nuvolari, al suo secondo anno di gare per i colori Auto Union (una scelta che “Nivola” aveva maturato nei primi mesi del 1938, e che non era piaciuta ai gerarchi fascisti, i quali già avevano mal digerito, anni prima, l’”assunzione” di Luigi fagioli da parte della squadra Mercedes) aveva già conquistato, con la Typ D, vittorie al GP d’Italia a Monza, al GP di Gran Bretagna a Donington e, in quel 1939 che poi si sarebbe rivelato fatale per le sorti dell’umanità, aveva ottenuto un secondo posto al Nurburgring. Giunto a Belgrado in treno, Nuvolari non aveva potuto prendere parte alle prove libere, potendo schierarsi soltanto alle prove ufficiali.

Come si svolse la gara

La gara prese il via alle 16,45 di una calda e soleggiata domenica di inizio settembre. Partito in penultima posizione dietro von Brauchitsch, Lang e Müller, Nuvolari dovette inizialmente fare corsa di rimessa, mentre davanti un Lang furioso cercava in ogni modo di sopravanzare von Brauchitsch, in testa, fra marciapiedi, rotaie del tram e manto stradale in porfido: la lotta per il primo posto fece una “vittima”, lo stesso Lang che dovette ritirarsi a causa di una pietra che, fatta schizzare da una delle ruote della Mercedes di Brauchitsch, gli frantumò il parabrezza e gli occhialoni, ferendolo ad un occhio. Al vertice della gara si installò, quindi, Müller, con Nuvolari alle spalle. Il sorpasso avvenne nell’ultimo terzo di gara: dopo 64 minuti dal via, tutto terminò. Nuvolari concluse il primo e unico GP di Belgrado con un vantaggio di 7”6 su von Brauchitsch e di 30”6 su Müller. La coppa del re Pietro II gli venne consegnata, in un’atmosfera certamente non lieta per l’incertezza di quelle ore, dal principe reggente Paolo.

Il mondo non sarebbe più stato lo stesso

La parola “fine” all’epoca d’oro delle competizioni automobilistiche avvenne, di fatto, nei momenti di quella premiazione e nell’ambiente surreale del dopo-gara. Tazio Nuvolari, nottetempo, fece ritorno a Mantova; la squadra Mercedes, secondo alcune ricostruzioni storiche, sarebbe rientrata in Germania in un lungo viaggio attraverso strade secondarie, spesso sterrate, passando per Slavonia, Croazia, Slovenia e Austria. Due delle Auto Union furono, negli anni 80, rinvenute – dopo molti anni di ricerche – smontate (ma complete) e custodite in capannoni nell’Unione Sovietica da un appassionato di origine russa: Zwickau, originariamente sede della Auto Union, si era trovata nel dopoguerra nel territorio della Germania orientale: l’enthusiast russo riuscì, all’inizio degli anni 90, ad acquistarle ed a restaurarle con l’aiuto di Audi. Le due Auto Union, insieme ad un terzo esemplare, fanno oggi parte del Museo Audi di Ingolstadt.

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