Violazione normative antitrust: sotto accusa Bmw, Daimler e VW

Francesco Giorgi
05 Aprile 2019
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I tre colossi tedeschi dell’automotive accusati formalmente dalla Commissione UE di avere creato un cartello per condividere strategie in materia di emissioni.

Le “big Three” dell’industria automotive tedesca avrebbero violato, per circa un decennio, le normative antitrust europee, in modo da limitare scientemente possibili concorrenze in materia di sviluppo dei sistemi di riduzione delle emissioni dai motori a benzina e turbodiesel per autovetture. Con questa indicazione, la Commissione Europea ha in queste ore formalmente accusato Bmw, Daimler AG ed il Gruppo VW (per Volkswagen, Audi e Porsche) di avere in sostanza creato un cartello finalizzato alla condivisione delle scelte tecniche sui temi delle emissioni inquinanti. L’accusa si riferisce, appunto, all’avere impedito iniziative concorrenziali sul fronte dei sistemi di trattamento dei gas di scarico.

Bmw, Daimler AG e Volkswagen avrebbero creato un “cartello”, attraverso lunghi anni di accordi “a tre” finalizzati alla reiterata condivisione di strategie di mercato ad hoc per non ostacolarsi vicendevolmente. Di fatto, tuttavia, rallentando la possibilità di sviluppare nuove tecnologie e, di conseguenza, impedendo ai consumatori finali l’acquisto di autoveicoli che fossero in grado di garantire i più elevati contenuti tecnologici. Un cartello, appunto. Proprio come il titolo dell’inchiesta (“Das Kartell”) che il diffuso settimanale economico tedesco Der Spiegel aveva pubblicato, a luglio 2017, nel quale si circostanziavano pesanti accuse ai tre Gruppi automotive (qui il nostro approfondimento).

In particolare, riferisce una nota stampa della Commissione UE, le preoccupazioni nei confronti di Bmw, VW e Daimler si riferiscono ai sistemi SCR per la riduzione delle emissioni degli ossidi di azoto ed al filtro antiparticolato “Otto” che taglia le emissioni nocive dai motori benzina ad iniezione diretta. Nel dettaglio, riguardo agli SCR, per otto anni (dal 2006 al 2014) vi sarebbe stato un coordinamento fra Bmw, Daimler e VW nelle strategie di impiego dell’AdBlue, anche previo accordo segreto della capacità dei serbatoi in modo che non superasse 8 litri e, quindi, garantirsi un cospicuo tornaconto economico in termini di risparmio sui materiali, a discapito tuttavia della effettiva pulizia dei gas di scarico. Discorso analogo per l’OPF-Otto Particulate Filter: i tre Gruppi tedeschi, indica l’accusa della Commissione Europea, si sarebbero coordinate fra loro stesse “Per evitare, o quantomeno ritardare, l’introduzione dell’OPF nei loro nuovi modelli di auto a benzina a iniezione diretta tra il 2009 e il 2014 e rimuovere l’incertezza sulla loro futura condotta di mercato”.

Da qui la conclusione dei commissari di Bruxelles: “Opinione preliminare della Commissione è che il comportamento delle tre Case automobilistiche mirava a limitare la concorrenza sull’innovazione per questi due sistemi di pulizia delle emissioni e, così facendo, negava ai consumatori la possibilità di acquistare autovetture meno inquinanti, nonostante la tecnologia fosse effettivamente a disposizione dei produttori”. Una “strategia” che, se confermata, andrebbe in collisione alle norme UE sulla concorrenza, che “Vietano gli accordi di cartello per limitare o controllare la produzione, i mercati o lo sviluppo tecnico”, ai sensi dell’art.101, par. 1 lettera b) del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, e dell’art. 53, par.1 lett. B) dell’Accordo sullo Spazio Economico Europeo.

Categorica, in questo senso, l’indicazione del commissario UE sulle politiche in materia di concorrenza, Margrethe Vestager: “Le aziende possono cooperare in molti modi per migliorare la qualità dei loro prodotti, tuttavia le regole di concorrenza comunitarie non consentono loro di operare per ottenere l’opposto: non migliorare i loro prodotti, non competere. Per quanto riguarda la qualità, siamo preoccupati che ciò sia potuto accadere e che Daimler, VW e Bmw possano aver violato le regole di concorrenza dell’UE e, di conseguenza, ai consumatori europei sia stata negata l’opportunità di acquistare auto con la migliore tecnologia disponibile. Le Case hanno ora l’opportunità di rispondere alle nostre indicazioni”.

L’indagine, una volta confermata, violerebbe dunque le norme sull’antitrust: non entra nel merito di eventuali violazioni di carattere ambientale. Ed è indipendente rispetto al “Dieselgate”.

Daimler non ritiene di poter subire sanzioni, una volta che l’indagine abbia termine: “Il Gruppo ha collaborato con la Commissione Europea, in qualità di testimone principale, già nella fase preliminare ed in modo completo. Per questo non ci si aspetta di essere sanzionata”, informano i vertici di Stoccarda, in attesa di ricevere formale notifica dalla Commissione.

Bmw, che già aveva precisato come le tecnologie utilizzate fossero differenti in confronto a quelle della concorrenza, ha nel frattempo provveduto alla redazione di una nota: “Bmw Group – si legge, fra l’altro – esaminerà le obiezioni e le informazioni fornite dalla Commissione europea e invierà una risposta all’autorità”. E ancora: “Diamo risalto al fatto che le indagini della Commissione riguardano solo potenziali violazioni del diritto della concorrenza e non una deliberata manipolazione illecita del sistema di controllo delle emissioni. Non ci sono accuse di questo tipo contro Bmw Group”. “L’azienda è costantemente impegnata in una condotta responsabile e legale come base per tutte le sue attività commerciali. La società ha istituito un sistema completo di gestione della conformità per garantire il rispetto della legislazione applicabile, comprese le disposizioni della legge antitrust”.

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