Il presidente USA ha “twittato” il personale saluto all’ex numero uno FCA scomparso ieri e protagonista di una memorabile stagione politico-industriale cui il nuovo CEO manley dovrà dare continuità.
Fra i messaggi di cordoglio per l’improvvisa scomparsa di Sergio Marchionne, giunti da tutto il mondo, c’è il saluto di Donald Trump. Il quarantacinquesimo presidente USA ha, come consuetudine personale, scelto di affidarsi a Twitter per esprimere il proprio pensiero, nel quale il tycoon newyorkese elogia l’impatto umano e professionale che l’ex numero uno di FCA ha saputo imprimere sulle “alte sfere” dell’industria e della politica. Paragonandone il carisma a quello di uno dei padri fondatori del comparto automotive “moderno”, Henry Ford: “Sergio Marchionne, scomparso oggi, è stato uno dei manager più brillanti e di successo dai giorni del leggendario Herny Ford”, scrive Donald Trump. Riguardo al rapporto personale con il top manager in maglioncino blu, “È stato un onore per me aver potuto conoscere Sergio come presidente degli Stati Uniti. Amava l’industria dell’auto, e ha combattuto duramente per essa. Ci mancherà davvero tanto!”.
L’attuale presidente USA, attualmente figura centrale nella corsa ad un regime protezionistico sull’importazione delle merci e delle materie prime – è notizia di queste ore l’incontro fra il presidente della Commissione UE, Jean-Claude Juncker, e lo stesso Trump avvenuto alla Casa Bianca, al termine del quale entrambe le parti hanno deciso per una “tregua”, necessaria per arrivare ad un obiettivo equo per tutti, al di qua e al di là dell’Atlantico -, del resto, all’inizio di questa settimana aveva preso il proprio telefono in mano per un colloquio con il presidente Fiat-Chrysler Automobiles John Elkann. In quelle ore, il mondo dell’industria e quello ad esso strettamente legato della politica seguivano con apprensione le scarne notizie, in merito alle condizioni cliniche di Marchionne, che arrivavano dal nosocomio di Zurigo nel quale egli si trovava ricoverato dalla fine dello scorso giugno e che erano drammaticamente peggiorate proprio all’inizio del fine settimana, tanto da suggerire al “board” di FCA di anticipare all’immediato il passaggio di testimone, nel ruolo di CEO Fiat-Chrysler, da Sergio Marchionne al numero uno di Jeep Mike Manley. Durante la telefonata fatta da Trump ad Elkann, il presidente USA aveva manifestato il proprio “Dolore” per le condizioni di salute del top manager italo-canadese.
Il rapporto fra Marchionne e i massimi inquilini della Casa Bianca è sempre stato franco e diretto, come del resto egli appariva a tutti i propri interlocutori. “Oggi” con Trump, in precedenza con il predecessore Barack Obama, con il quale anzi diede vita ad un lungo colloquio ben più approfondito: uno dei primi atti operativi dell’allora neoeletto presidente USA (gennaio 2009) fu infatti il “via libera”, con il consenso delle delegazioni di azienda, all’accordo preliminare rivolto all’acquisizione del 35% di Chrysler, la “big” di Detroit che in quella delicatissima fase della propria esistenza industriale si trovava in regime di procedura fallimentare. Uno storico agreement – completato nell’estate del 2014 e culminato, al termine della stessa stagione, con la nascita formale dell’”universo” FCA-Fiat Chrysler Automobiles – che permise il salvataggio di migliaia di posti di lavoro e la nascita di un “asse privilegiato” fra Torino e Detroit, concretizzando la vision di Marchionne che vedeva nell’”internazionalizzazione” dei Gruppi industriali una condizione necessaria alla sopravvivenza delle aziende. Proprio Donald Trump, recentemente, ha indicato Marchionne come “figura-chiave” nelle politiche di sostegno all’occupazione negli Stati Uniti.
E ciò assume una grande importanza se si considera che il mercato nord americano, storicamente a luci ed ombre per Fiat (gli appassionati conoscono bene la “sigla” che gli statunitensi appioppavano a Fiat, ovvero “Fix It Again, Tony”, cioè “Aggiustala ancora, Tony”, giocando sull’acronimo ma, nello stesso tempo, additando con la consueta franchezza anglosassone una differente qualità fra la produzione di Torino e quella dei competitor internazionali), ha poi accolto il “mondo Fiat” proprio in virtù del maxi programma a favore di Chrysler.
E c’è di più: una delle conseguenze dirette del salvataggio Chrysler e dell’espansione internazionale di Fiat-FCA è un’altra importante operazione-salvezza: quella operata nei confronti di Jeep. Il marchio-simbolo dell’offroad made in USA, oltre a settuplicarne i volumi di vendita (circa 300.000 unità nel 2009, oltre 1,4 milioni nel 2017, previsioni per 2 milioni nel 2018) è stato rilanciato a livello globale, e soprattutto in Europa ed in Cina, attuale mercato di riferimento per tutti i big player del comparto automotive.
Da questa parte dell’oceano, va detto, i rapporti fra Marchionne e le rappresentanze industriali e sindacali non sono sempre stati idilliaci. Al contrario, il numero uno FCA non era uno smodato amante delle corporazioni. Un episodio su tutti: gli scontri con Fiom-Cgil guidata da Maurizio Landini, portata avanti negli impianti di produzione e in tribunale, il “no” al rinnovo del contratto nazionale metalmeccanici (2010) e le concessioni richieste ai sindacati stessi, rivolte agli investimenti da effettuare a Pomigliano d’Arco in previsione del trasferimento delle linee di produzione di Fiat Panda. Clamorosa fu, nel 2011, la decisione operata da Sergio Marchionne di abbandonare Confindustria (proprio l’Associazione nazionale degli industriali che aveva visto Fiat tra i fondatori), allora guidata da Emma Marcegaglia, spiegando che Fiat, al centro com’era di un programma di espansione senza precedenti, non poteva “subire” imposizioni in merito ai modelli contrattuali per gli stabilimenti italiani.
Proprio il futuro degli impianti FCA in Italia è al centro di un sentito dibattito: cosa avverrà nella gestione “nazionale” di Fiat-Chrysler Automobiles nell’era del “dopo-Marchionne”? Melfi, Pomigliano, Cassino, Mirafiori, Grugliasco rappresentano le realtà italiane sulle quali si articola l’orbita industriale FCA. Ad una prima occhiata, la nomina di Mike Manley quale nuovo CEO di Fiat-Chrysler e le pressoché contestuali dimissioni del numero uno delle attività EMEA, Alfredo Altavilla, potrebbero suscitare qualche preoccupazione in chi veda l’Italia al centro, anche nel futuro, della produzione FCA. Il ruolo di Exor, negli anni a venire, potrebbe inoltre risultare ancora più centrale per le strategie FCA. D’altro canto, da una parte i vertici del Gruppo italo-americano (e lo vedeva, per primo, Sergio Marchionne) intendono riposizionare i segmenti delle lineup Fiat-Chrysler secondo una strategia di valore aggiunto determinata dall’”immagine” (il “polo del lusso”), anziché su una produzione più generalista che vedeva da sempre Fiat in un ruolo leader. Peraltro, una delle prime considerazioni avanzate da John Elkann già lo scorso fine settimana è di garantire “continuità” alla vision di Sergio Marchionne; dunque, allo stesso modo, nulla farebbe pensare ad un mutamento di rotta da parte di Mike Manley in merito ad una eventuale (e da più parti temuta) “internazionalizzazione” dei veicoli e dei componenti staccati attualmente prodotti in Italia. Potrebbe darsi, al contrario, che una parte della produzione Jeep continui ad essere assemblata “da noi”, così come alcuni modelli Fiat più “di nicchia”, a concretizzare i punti di forza rappresentati dalla produzione “premium” Alfa Romeo e Maserati. In questo senso, un aiuto potrebbe davvero arrivare da una eventuale futura “alliance” con un partner di peso, una condizione già ipotizzata da Sergio Marchionne e che, di recente, era tornata agli onori delle cronache attraverso una indiscrezione di Asia Times secondo la quale all’orizzonte potrebbe esserci Hyundai.