Torino e la Fiat: un matrimonio all’italiana

Fabrizio Brunetti
07 Febbraio 2011
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Torino e la Fiat: un matrimonio all'italiana

L’intesa con Chrysler prevede una sede per ogni area d’interesse (Europa, Usa, Brasile, Asia). In Italia c’è già chi grida al tradimento… ma è così?

L’intesa con Chrysler prevede una sede per ogni area d’interesse (Europa, Usa, Brasile, Asia). In Italia c’è già chi grida al tradimento… ma è così?

Se l’accordo tra Fiat e Chrysler si realizzerà completamente e i risultati in termini di sviluppo produttivo e di margine operativo saranno in linea con i piani, è assai probabile che i “quartieri generali” del gruppo diventino tanti quanti saranno i mercati di interesse. La Fiat “italiana” è stata storicamente legata a Torino da una sorta di matrimonio, ma da quando è diventata americana (e globale) la stessa Fiat si è concessa qualche “scappatella” a Detroit, tanto da stabilire lì una sede via via più importante.

E se il piano di sviluppo sui grandi mercati emergenti come il Sud America e l’Asia avrà successo, sarà senza dubbio logico e assolutamente prevedibile che il Gruppo abbia anche lì dei quartieri generali in grado di massimizzare la capacità di agire con efficacia su mercati così fondamentali nella competizione globale come Brasile, Cina e India.

Tradimento? No, logica industriale

Sembra una prevedibile e prevista strategia imprenditoriale, così logica e scontata che in un mondo normale il cenno in questo senso dei vertici Fiat sarebbe stato al massimo oggetto di poche righe sui quotidiani economici e sui media automobilistici. E invece ha meritato un titolone in prima pagina sul Corriere della Sera, con la seconda e terza pagina interamente dedicate a questa notizia così clamorosa (!).

La notizia è che nei prossimi anni Torino non sarà più l’unica sede del gruppo, ma che ce ne saranno altre tre… e allora? Ci mancherebbe altro che le strategie operative non venissero seguite e realizzate specificamente su mercati che hanno caratteristiche così diverse. Pensate al mercato europeo, maturo ed estremamente concorrenziale, nel quale è già un successo conservare le proprie quote di mercato o aumentarle del 2 o 3%.

Quello europeo è un mercato dominato dai costruttori premium tedeschi – Mercedes, BMW e Audi – e che anche nel mercato generalista delle piccole, compatte e medie, ha come player di riferimento il marchio Volkswagen.

Quello dell’America del Nord – Stati Uniti, Canada e Messico – è invece il mercato in cui la ripartenza dei grandi costruttori generalisti americani si scontra con la posizione di forza dei marchi giapponesi e asiatici, un mercato estremamente variegato in cui dominano i pick up, le berline medie e grandi, i SUV di grandi dimensioni.

Il Sud America, per merito essenzialmente dello sviluppo del grande mercato brasiliano, è terra di confronto globale con i costruttori generalisti europei – Fiat e Volkswagen – a farla da padroni, ma con spazio potenziale anche per i costruttori asiatici e americani.

L’Asia infine abbraccia un panorama di mercato automobilistico di enorme potenziale, che spazia dal dominio giapponese di Toyota, al mercato low cost dell’immensa India, allo strabiliante sviluppo della Cina, divenuta il primo mercato mondiale per i costruttori premium tedeschi e novello Eden per tutti i costruttori.

Una scelta che fa discutere

Secondo voi è possibile che un player globale che punta ad essere protagonista in mercati con caratteristiche così diverse possa avere un unico quartier generale? A Torino poi? Ma siamo seri per cortesia.

E invece no, ricominciamo con le storie patetiche del legame tra Torino e la Fiat (ma quale Fiat poi?), con l’inganno del perfido Marchionne, del “canadese” che vuole portar via il lavoro dall’Italia, con le dichiarazioni fuori luogo dei politici che per la maggior parte sono semplicemente ignoranti in materia e in generale delle regole del mercato.

Non poteva mancare naturalmente l’ennesimo riferimento ad una “Fiat che continua a vivere di denaro pubblico e risorse finanziarie italiane (quali?) per spostare la testa dell’azienda in Usa e la produzione nei paesi low cost”.[!BANNER]

Sconfortante, dovremmo tutti fare il tifo per una conduzione manageriale che ha consentito ad una moribonda Fiat di rinascere con ambizioni di confronto con i grandi come Volkswagen, Toyota, GM, Ford, PSA, Renault Nissan, che ha fatto chiudere a Fiat/Chrysler un 2010 pur difficile e ancora senza nuovi prodotti al sesto posto tra i costruttori mondiali, davanti a PSA, e invece c’è ancora chi crede di parlare al mondo di trent’anni fa, che, per fortuna, non esiste più. 

Se saranno all’altezza del compito, ben vengano le quattro “teste,” Torino avrà tutto da guadagnare.

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