Volvo, Jaguar e Land Rover: la rivoluzione dell’auto nei marchi di prestigio

Fabrizio Brunetti
05 Agosto 2010
Volvo, Jaguar e Land Rover: la rivoluzione dell'auto nei marchi di prestigio

I paesi emergenti, dagli immensi mercati e dalla forte capitalizzazione sono i nuovi proprietari di molti marchi di prestigio europei

I paesi emergenti, dagli immensi mercati e dalla forte capitalizzazione sono i nuovi proprietari di molti marchi di prestigio europei

Da più di vent’anni non esiste un’industria automobilistica inglese e da pochi mesi neanche una svedese: gli imprenditori dei paesi emergenti sono diventati infatti i nuovi proprietari di molti marchi di prestigio europei e la rivoluzione è appena cominciata…

Produrre automobili è sempre più costoso, le norme di sicurezza e quelle di emissione impongono standard che rendono impossibile progettare e realizzare prodotti che non abbiano obiettivi di grandi numeri o che almeno non condividano “basi” di grande diffusione.

Non esisterebbe neppure un’Audi A3 se non ci fosse una Golf, non esisterebbe una A1 se non ci fosse la Polo, non una Delta o una Giulietta se non ci fosse una Bravo, non una Musa se non ci fosse un’Idea, non una Bentley se non ci fosse una BMW serie 7, non una Rolls Royce se non ci fosse VW …non una Jaguar se non ci fosse un grande capitalista indiano, Mr. Tata, non una Volvo se non ci fosse un altrettanto grande miliardario cinese!

Solo tre anni fa chi avesse ipotizzato la realtà attuale di Jaguar, Land Rover o Volvo sarebbe passato per un visionario appassionato di fantaeconomia. Tutti e tre i grandi marchi di prestigio appartenevano all’americana Ford, allora secondo produttore mondiale, simbolo del capitalismo automobilistico della più grande potenza economica mondiale, proprietario anche di Aston Martin.

Poi è scoppiata la bolla e la finanza virtuale ha lasciato il posto improvvisamente, imprevedibilmente, al ritorno della finanza reale, quella basata sulla capitalizzazione vera, basata su asset vendibili e quantificabili.

Così, complice anche il vertiginoso tasso di sviluppo di alcuni paesi emergenti, come Cina, Indonesia, Corea, India, gli unici compratori per i marchi di prestigio che non hanno mai prodotto utili potevano essere solo i tycoon orientali che hanno una fortissima capitalizzazione.

Ai grandi produttori americani o europei, come Ford, GM, Mercedes, BMW, VW che avevano fatto incetta negli anni ’80 e ’90 di generatori di perdite dai marchi prestigiosi – Rolls Royce, Bentley, Aston Martin, Lamborghini, Land Rover, Rover, Chrysler, Jeep, Bugatti, Volvo, Saab – succedono ora, accanto ai pochi vecchi noti grandi produttori europei in salute finanziaria, come VW, Peugeot e, meno, Mercedes e BMW, alla giapponese Toyota, al colosso emergente Hyundai, i grandi capitalisti indiani e cinesi.

Rivoluzione per il mondo dell’auto che confonde le mappe mentali del cliente automobilistico e rende ancora più difficile di ieri personalizzare il prodotto, renderlo diverso da quello di un altro produttore.

Jaguar è certamente simbolo del british style, il cliente Jaguar si aspetta che un’auto del giaguaro sia profondamente diversa, nell’immagine ancor più che nella sostanza, dal prodotto concorrente delle tedesche Audi, Mercedes, BMW, o da quello italiano di Alfa Romeo, Lancia, Maserati, o da quello svedese di Volvo.

Volvo a sua volta era il simbolo della sobria razionalità e sicurezza svedese, questa era la chiave motivazionale di scelta per gli americani e per gli occidentali non allineati, quelli che privilegiano l’understatement.

Land Rover, con la doppia anima del fuoristrada puro come lal Defender o del SUV di lusso per antonomasia, la Range, è anch’esso un simbolo del più puro stile british.

Dal punto di vista culturale è un vero e proprio shock, un indiano, miliardario certo, ma un cittadino della ex colonia dell’impero compra insieme Jaguar e Land Rover; la casa reale, la Londra bene, Victoria e David Beckam sfoggiano come simbolo dell’amata Inghilterra le auto prodotte da un miliardario indiano, straordinario imprenditore, ma indiano, come i bigliettai della metropolitana.

Per colmo di paradosso è addirittura cinese, proprio della stessa Geely che ha acquistato Volvo, la proprietà della società che produce i London taxi… “incredible, but real”

Mr. Tata ha piani molto ambiziosi sia per Jaguar che per Land Rover. Per la casa del giaguaro, dopo la presentazione della nuova ammiraglia XJ, di completa rottura col passato nello stile, come già la precedente XF, le prossime mosse dovrebbero riguardare il ritorno della spider, con una nuova E-Type e la ricerca dei grandi numeri con una sostituta della X-Type, da inserire nel combattutissimo, ricco mercato oggi territorio esclusivo di Audi A4, Bmw Serie 3 e Mercedes Classe C.

Compito non facile e sul quale pesa il fallimento della prima generazione della X-Type targata Ford che non è mai riuscita ad imporsi e a generare utili, forse perché marchiata agli occhi del potenziale cliente Jaguar dall’ignominiosa origine Mondeo.

Probabilmente più semplice il compito con Land Rover. La Defender è un classico del fuoristrada e ha un solido mercato; l’erede ne manterrà le caratteristiche di fuoristrada vero, robusto, affidabile, maschio, ma incredibilmente snob. La linea Range sta per arricchirsi della splendida Evoque, che ad un anno dalla commercializzazione sta già raccogliendo un’attesa al di sopra di ogni aspettativa.

La produzione di Jaguar e Land Rover è stata nel 2009 di meno di 200.000 unità, in drammatico calo rispetto alle oltre 260.000 del 2008, ma Tata confida di portare nel giro di tre anni la soglia minima almeno a 400.000 unità.

Ancora più singolare la vicenda Volvo. Li Shufu, proprietario del gruppo Geely, ha 47 anni, viene dalla campagna ed ha creato dal nulla un impero che produce di tutto, dalla fotografia, alle componenti per frigoriferi, alle moto, alle auto. Oltre che imprenditore è anche poeta, ha uno stile di vita eccentrico, è cortese e affabile, ha buoni rapporti con l’apparato e il partito. La Volvo, costata alla Ford nel 1989 la somma 6,5 miliardi di dollari e che in tutti questi anni ha generato solo perdite, l’ha pagata una miseria: 1,8 milardi di dollari.[!BANNER]

Ma come farà Li Shufu a riuscire dove Ford ha fallito? Nel 2009 Volvo ha venduto 335.000 veicoli, pochi per assicurarle margini di profitto. Tra le cause il sostanziale fallimento della compatta C30 che non ha mai insidiato le tedesche di successo, il forte calo della S40/V50 e della 70, la marginalità della grossa 80, il modesto successo dei SUV, il grosso XC90, che non avrà probabilmente un erede e il nuovo, compatto

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