FCA tra partner, novità e nuova frenata su Alfa

Fabrizio Brunetti
16 Novembre 2015
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FCA tra partner, novità e nuova frenata su Alfa

Una panoramica sulle possibili strategie future del Gruppo Fiat-Chrysler.

Una panoramica sulle possibili strategie future del Gruppo Fiat-Chrysler.

Dopo la clamorosa “proposta di matrimonio” fatta a GM nella scorsa primavera, Sergio Marchionne non ha affatto accantonato l’idea, graniticamente convinto dei macroscopici vantaggi ed economie che una fusione tra due grandi porterebbe al nuovo “gruppo più grande del mondo”.

Dei vantaggi tutti gli analisti, e anche il consiglio d’amministrazione di GM, sono convinti. Semmai pesano gli insuccessi nelle acquisizioni che si sono succedute negli ultimi vent’anni – Mercedes con Chrysler, Ford con Land Rover, Jaguar e Volvo, BMW con Rover, Volkswagen con Suzuki, tanto per citare le più note – e gli interrogativi sulla capacità di gestire con efficacia la maggiore complessità che due gruppi forti incontrerebbero, “gli elevati rischi di integrazione ed esecuzione” li definisce in un recente studio Standard & Poor’s.

Si aggiunge la personale convinzione di Mary Barra, gran capo di GM, che il maxi gruppo statunitense ce la faccia egregiamente da solo e che, per il momento e ufficialmente, GM continua a respingere le profferte di FCA.

Marchionne insiste che la dimensione, la tipologia di generalista globale e le caratteristiche di marchi e mercati di GM sarebbero perfettamente complementari e che le cifre iperboliche di economie e ottimizzazioni prospettate nella proposta di merger vanno semmai corrette per difetto.

Ha ragione, il futuro inevitabile è proprio quello che prospetta, i costi di sviluppo, produzione e commercializzazione sono così spaventosamente aumentati, che per la maggior parte dei prodotti di gamma dei costruttori generalisti, la soglia di profitto è ormai abbondantemente sopra il milione di pezzi anno.

Vale forse la pena di citare ancora una volta l’aspetto più paradossale di questa realtà, prendendo ad esempio la regina Golf che pur cardine nel gruppo (quasi) leader mondiale aveva, prima del dieselgate, margini risicati, appena sopra il 2%, e rischia ora di non averne affatto.

Peraltro altri esempi di maxi fusioni, come Fiat/Chrysler e Nissan/Renault,  sono state benedette da un clamoroso successo senza il quale oggi forse né Fiat né Renault sarebbero sopravvissute.

Dunque Marchionne insiste e continua a considerare GM partner ideale, ma non esclude di trovare altri costruttori che in vario modo sarebbero in grado di aumentare in gran misura i reciproci vantaggi. Sergio non parla mai a vanvera, ha certezze e determinazione e c’è da aspettarsi in tempi relativamente brevi, diciamo entro il 2018, che il matrimonio si faccia, magari non con un solo partner, magari non solo con un costruttore generalista. Scommettiamo?

Nel frattempo FCA si avvia ad archiviare questo 2015 come un anno di consolidamento e di successi. Nonostante le crisi dei tre principali mercati emergenti – Cina, Brasile, Russia – il mercato americano continua a premiare FCA US più di quanto facciano una pur brillante Ford ed una comunque positiva GM. Certo grazie in particolare all’esplosione di Jeep, ma anche gli altri marchi, specie Chrysler e RAM, crescono senza sosta.

Dal canto suo, nonostante il Brasile, la frenata di Maserati ed i numeri ancora imbarazzanti di Alfa in attesa di Giulia e SUV, Fiat torna all’utile in Europa, gli stabilimenti italiani, grazie a Renegade e 500X faticano ad esaudire la domanda, i margini crescono.

Sul piano finanziario il successo della quotazione Ferrari ha dato valore all’intero gruppo. Moody’s ha appena promosso FCA, confermando la valutazione B1 e alzando l’outlook da stabile a positivo e con un indebitamento che continuerà a diminuire.

Vuol dire in soldoni che l’Agenzia prevede per FCA “un ulteriore incremento delle vendite nei prossimi 12 mesi, che insieme ai nuovi modelli e ad un rafforzamento della capacità produttiva, sosterrà la produttività”.

Rispetto alla gamma di prodotti quattro debutti con marchio Fiat, in parte inattesi e che, pur non primari, potrebbero rivelarsi successi e aprire o riaprire al marchio italiano nuovi segmenti e mercati dai quali era assente.

Da un lato lo Spider 124, prodotto di nicchia ma dal forte impatto in termini d’immagine e, grazie all’accordo con Mazda, prodotto a costi contenuti. Potrebbe, se ne avrà la capacità di attrattiva, restituire al marchio Fiat quella emozionalità che manca (con l’eccezione del glamour 500) da ormai troppo tempo.

All’estremo opposto il ritorno di una Fiat media, assolutamente generalista, sobria nello stile, tutta sostanza e affidabilità, pratica non povera, con un buon rapporto qualità/prezzo e coniugata nelle tre declinazioni tradizionali del settore – berlina tre e due volumi e SW -, la nuova Tipo “turca”, prodotta appunto a Tofas, a costi contenuti.

In contraddizione con la filosofia “premium”, proclamata da Marchionne per il marchio Fiat con Panda e 500, questo sorprendente ritorno del marchio al prodotto da generalista puro, sia pure sui soli mercati EMEA (Europa e Medio Oriente), incuriosisce e divide sulle chance di successo, ma certo amplia la gamma del marchio italiano con investimenti e costi molto contenuti.

Ancora più sorprendente la discesa in campo dei Pick Up targati Fiat, il medio (ma sfiora i 5 metri) Toro, che nasce in Brasile e il grande Fullback, versione Fiat del Mitsubishi L200.

Il Fullback certo è solo una versione esteticamente, felicemente, personalizzata dell’L200, ma il Toro è completamente nuovo, ha una faccia  personale e muscolosa e certamente dal Brasile migrerà verso altri mercati, incluso quello europeo.

Questo sì può affermare un’immagine nuova del marchio Fiat, sarà un successo.

Intanto però arriva la conferma di quello che molti scettici avevano già previsto, cioè lo slittamento del piano Alfa Romeo, il che significa esplicitamente che il target di 400.000 Alfa non è più previsto entro il 2018, ma slitta al 2020.

La motivazione ufficiale è nel rallentamento del mercato cinese che dovrebbe rappresentare uno dei principali per la nuova Alfa Romeo.

In dettaglio il debutto sul mercato europeo della Giulia slitta di 6 mesi, e di conseguenza viene rinviato anche il lancio americano.

Stessa sorte per il SUV medio, basato sulla stessa piattaforma e previsto per il 2016, che slitta al 2017. Si accentua la prevalenza nel piano per i modelli di maggior volumi rispetto a quelli di nicchia. Così la Giulietta di nuova generazione non subisce ritardi, che invece toccano all’ammiraglia, al maxi SUV, allo Spider.

Le derivate Giulia, Sport Wagon e GT, seguono gli slittamenti della berlina, che peraltro è destinata ad un compito davvero arduo. I tre costruttori tedeschi – Mercedes, Audi e BMW – dominano il segmento premium delle medie, coprendo l’86% del totale.

A Giulia e Jaguar XE il difficile compito di rosicchiare posizioni e volumi dal ricco e blindato pascolo delle tre tedesche. Per farlo occorre qualità, personalità e autorevolezza tecnica e stilistica ed anche con queste qualità la misteriosa dottrina del marketing non offre nessuna certezza che alcuni dei potenziali clienti si lascino convincere a cambiare la loro scelta. La XE punta sulla tecnologia dell’alluminio e su un handling superiore, la Giulia su prestazioni, guidabilità e passione.

In risposta diretta e piccata ai critici che avevano commentato che la Giulia somiglia troppo alla BMW Serie 3, Alfa Romeo ha enfatizzato il legame stilistico con la 156, unico grande successo del Biscione dell’era Fiat.

Per ora ci prendiamo il ritardo e il ridimensionamento dell’obiettivo di piano ad uno più realistico, che verosimilmente porterà Alfa Romeo a chiudere il 2018 con 250/280 mila unità, in linea con le previsioni degli analisti più autorevoli.

Sarebbe comunque un gran bel risultato e c’è sempre la possibilità di sorprese in positivo, come sta avvenendo con Jeep.

Fiat Fastback: le immagini

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