Subaru… il miracolo continua

Fabrizio Brunetti
22 Giugno 2015
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Subaru... il miracolo continua

Il “piccolo” produttore solo di integrali e solo boxer, per il settimo anno consecutivo fa risultati record nel mercato americano.

Il “piccolo” produttore solo di integrali e solo boxer, per il settimo anno consecutivo fa risultati record nel mercato americano.

I risultati parlano da soli, anche per questo esercizio. Per la settima volta consecutiva, Subaru chiude l’esercizio fiscale (al 31 marzo) con numeri record. Vendite globali in crescita del 10%, a 910.000 unità, un revenue di oltre 24 miliardi di dollari ,+ 20%, un profitto operativo che supera i tre miliardi e mezzo, su del 30% rispetto all’anno precedente, un profitto netto di 2,2 miliardi di dollari, +27%.

Merito principalmente dei risultati del mercato Nord America, che da solo rappresenta il 62% del totale. Il primo effetto di questo straordinario successo – Subaru ha scavalcato ampiamente VW nelle vendite del Nord America e quest’anno probabilmente conseguirà un sorpasso anche di VW Group (inclusi quindi Audi e Porsche) – è che il produttore giapponese anticiperà di quattro anni rispetto al piano, l’incremento della capacità produttiva del suo stabilimento in Nord America, a Lafayette, in Louisiana, per portarlo a 400.000 unità all’anno e lo stabilimento americano aggiungerà ad Outback e Legacy anche la produzione della piccola Impreza. 554.000 le Subaru vendute sul mercato nord americano nel trascorso anno fiscale, 600.000 quelle attese quest’anno.

Ma come è possibile che il marchio automobilistico del gruppo Fuji Heavy Industries Ltd, con le sue modeste dimensioni, un solo schema meccanico, il motore boxer, due piattaforme, tre linee di modello possa conseguire risultati tanto lusinghieri? Gli americani evidentemente impazziscono per Subaru, il brand ha un’immagine forte fondata su un mix di affidabilità, buon rapporto qualità/prezzo, understatement, un po’ quello che identificava Volvo negli anni d’oro, 70 e 80.

Certo il mix Subaru è molto personale – trazione integrale, crossover e berline, motori boxer, linee semplici ma “solide” che trasmettono un’immagine rassicurante, prezzi percepiti come corretti a fronte di una qualità percepita elevata, brand “simpatico”, tanto che Subaru ha un altissimo livello di fidelizzazione del cliente, rete di vendita e servizi efficienti – ma come fa un piccolo produttore ad avere profitti così alti? Appunto osando realizzare con lungimiranza già da qualche anno un impianto in Nord America quando altri produttori, anche di dimensioni maggiori, non ne hanno o sono addirittura assenti dal mercato americano.

Tra produzione americana ed importato a Subaru resta un margine di tutto riguardo e numeri di vendita da big che ridicolizzano addirittura il maxi gruppo VW da 10 milioni di vetture prodotte all’anno.Incredibile, sconvolge tutte le consolidate teorie che escludono la possibilità di produrre margini se  non si è parte di un maxi gruppo e si sfruttano economie di scala, o almeno produttori solo premium, comunque di grandi dimensioni, come BMW, Mercedes, Jaguar/Land Rover.

Non ci riesce ancora Volvo, nonostante soldi, mercato e produzione cinesi, ci riesce Subaru che certo fa parte di un grande gruppo industriale – Fuji Industries – ma di cui è l’unico, piccolo, brand costruttore di auto. Non che sia facile, peraltro. Con grande franchezza il CEO Yasuyuki Yishinaga, dice “non produciamo abbastanza automobili per conseguire economie di scala e i costi di sviluppo e adeguamento alle norme sull’efficienza dei consumi e sulle alimentazioni ibride sono destinati a far diminuire pesantemente i margini”.

Strategia quindi di “valorizzazione del brand”, che tradotto in termini brutali vuol dire che, puntando sul credito che il brand si è guadagnato e intende guadagnarsi, le Subaru costeranno di più. In termini di piano prodotti, i Boxer Subaru della prossima generazione acquisiranno l’iniezione diretta, il taglio di alimentazione dei cilindri l’emissione pulita, l’alimentazione ibrida Plug-in per rientrare nelle norme californiane del 2018 a “emissione zero”.

Grandi costi in investimenti quindi per far proseguire il trend virtuoso che da sette anni ininterrottamente vede crescere Subaru con percentuali a due cifre. Difficile prevedere se il miracolo potrà continuare, se l’anomalia al sistema potrà ancora inaspettatamente dimostrarsi vincente, ma potrebbe anche essere che si concretizzi il terreno di un’alleanza o fusione con un grande produttore, che renda più facile il cammino, sia pure a costo della perdita dell’autonomia che oggi fa di Subaru un’eccezione.

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