Impensabile in Italia, ma nella cultura americana una “bugia” è grave e compromette la reputazione anche di un gruppo in grande ascesa.
Impensabile in Italia, ma nella cultura americana una “bugia” è grave e compromette la reputazione anche di un gruppo in grande ascesa.
Nella cultura americana, niente è più grave e lesivo dell’immagine di un individuo o di una società, della bugia, del volontario inganno, in certa misura indipendentemente dalla gravità del fatto sul quale la bugia si centra.
La storia americana è costellata di esempi di sdegno, delusione, crollo di stima e fiducia nel “bugiardo” di turno, e le bugie hanno rovinato irrimediabilmente la carriera di molti politici. Il Watergate per Nixon ad esempio, lo scandalo Lewinski per Clinton, le segretarie/amanti di tanti candidati alla Casa Bianca o membri del Congresso, anche una sola bugia non viene tollerata.
Le aziende non sfuggono alla regola etica e se pizzicate pagano a caro prezzo la perdita di credito nel mercato, senza contare che gli Stati Uniti sono anche il paese della Class Action, delle azioni legali collettive in difesa del danno subito da cittadini e consumatori, che a volte esitano in sentenze di risarcimento “esemplari” e molto onerose.
Stavolta è toccato a Hyundai Motor U.S. che aveva centrato le campagne di marketing dei principali modelli Hyundai e Kia sul maggior migliaggio rispetto ai concorrenti: “40 miglia per gallone” il claim pubblicitario. Quello dei consumi e delle emissioni è un tema di grande attualità in USA e sulle percorrenze si scatena la lotta mediatica dei confronti tra i principali prodotti dei costruttori sui mercati del Nord America, USA e Canada.
Elantra, Veloster e Accent per Hyundai, Soul e Rio per Kia, i modelli interessati. Il popolarissimo e autorevole web site Edmunds.com, con le sue prove comparative e test che orientano e influenzano i consumatori, ha svelato l’inganno e la Reuter ha ufficializzato l’affaire, riportando le dichiarazioni di Bill Visnic, senior editor di Edmunds.com.
Il 2 novembre Hyundai U.S. si è pubblicamente scusata ed ha acconsentito a rimborsare i proprietari per i costi addizionali di carburante sostenuti rispetto ai consumi dichiarati. Il “purchase intent”, l’intenzione d’acquisto dei consumatori americani e canadesi è così scesa di diversi punti percentuali per i modelli interessati e, dato che l’intenzione d’acquisto produce i suoi effetti sulle vendite principalmente nell’arco di tre mesi dalla rilevazione, Hyundai U.S. attende un significativo calo delle immatricolazioni.
Moody’s stima, per questa perdita di credibilità, un costo di 100 milioni di dollari l’anno fino a che le auto non cessino di circolare, ma c’è anche la minaccia di azioni legali.
Insomma, quella che da noi è un’innocente bugia, tollerata come normale più o meno per tutti i prodotti sul mercato e largamente praticata dai costruttori, poco seguita dai media (la Reuter è stata pressoché ignorata dai media europei e italiani) e favorita da metodi di misurazione non standardizzati e meno severi di quelli americani, costerà un rilevante danno, in termini economici e di credibilità, al Gruppo automobilistico sud coreano, in strepitosa ascesa su tutti i mercati e che proprio sulla credibilità, affidabilità, appeal, rapporto qualità/prezzo dei suoi marchi sta basando la sua strategia vincente di sviluppo. Paese che vai…ma saranno strani gli americani o siamo strani noi?