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La nuova “luce bianca” del semaforo che cambierà il traffico urbano

Di Simone Fiderlisi
Pubblicato il 18 nov 2025
La nuova “luce bianca” del semaforo che cambierà il traffico urbano
La proposta della luce bianca introduce un semaforo a 4 luci per coordinare veicoli autonomi e conducenti: sfide infrastrutturali, normative.

C’è una nuova rivoluzione all’orizzonte per il traffico urbano, una di quelle che promettono di cambiare per sempre il modo in cui concepiamo la mobilità nelle nostre città. Si tratta della cosiddetta luce bianca, una proposta tanto visionaria quanto concreta che punta a trasformare il classico semaforo a quattro luci in uno strumento di coordinamento tra umani e robot, ovvero tra conducenti tradizionali e veicoli autonomi. L’idea, partorita nei laboratori della north carolina state university, si fonda su dati e simulazioni che lasciano poco spazio ai dubbi: la fase bianca agli incroci può ridurre sensibilmente ritardi, consumi ed emissioni, aprendo la strada a una mobilità più fluida e sostenibile. Ma come spesso accade quando si parla di innovazione, il salto dalla teoria alla pratica è tutt’altro che scontato.

Secondo la ricerca, basta che il 10% dei veicoli in circolazione sia dotato di guida autonoma per vedere una diminuzione dei ritardi del 3%. Se questa percentuale sale al 30%, il beneficio si moltiplica fino a raggiungere un taglio del 10,7% nei tempi di attesa agli incroci. In scenari ideali, dove i veicoli autonomi superano il 90% del totale, i miglioramenti diventano quasi esponenziali. Tutto ruota attorno a un meccanismo semplice ma rivoluzionario: quando una quota significativa di auto a guida automatica si avvicina a un incrocio, il semaforo a quattro luci attiva la nuova luce bianca. È il segnale che invita le auto tradizionali a seguire il convoglio guidato dagli algoritmi, affidando così a un’intelligenza collettiva la scelta di traiettoria e tempistiche.

Non si tratta solo di risparmiare qualche secondo: la riduzione delle accelerazioni e delle frenate si traduce in minori consumi e, di conseguenza, in emissioni più contenute. Un beneficio non trascurabile, soprattutto in quelle aree urbane dove l’inquinamento è un problema cronico e dove ogni intervento a favore dell’ambiente può fare la differenza. La fase bianca rappresenta dunque una sorta di ponte tra presente e futuro, una transizione verso una mobilità urbana più intelligente e meno impattante.

Ma attenzione: la strada che porta all’adozione di questa tecnologia è tutt’altro che spianata. Gli stessi ricercatori della north carolina state university invitano alla prudenza, sottolineando come sia indispensabile procedere per gradi. Prima di vedere la luce bianca brillare negli incroci delle nostre città, serviranno test pilota in ambienti controllati, come porti e hub logistici dove la presenza di veicoli autonomi è già realtà consolidata. Solo così sarà possibile raccogliere dati reali, testare la robustezza del sistema e, soprattutto, preparare il terreno a una trasformazione che richiederà investimenti infrastrutturali di rilievo.

E qui emergono le prime, vere criticità. La necessità di dotare i semafori di sensori e sistemi di comunicazione avanzati, di sviluppare piattaforme di controllo centralizzato e di garantire la massima sicurezza contro eventuali attacchi informatici rappresenta una sfida non da poco. Senza dimenticare la questione, tutt’altro che secondaria, della responsabilità legale: in caso di incidente, chi risponde? Il produttore del software, il gestore dell’infrastruttura o il conducente? Domande che al momento restano sospese e che richiederanno una risposta chiara da parte di legislatori e assicurazioni.

Un altro fronte delicato riguarda la convivenza con motocicli e scooter. Questi veicoli, per loro natura agili e abituati a “filtrare” il traffico, difficilmente potranno adattarsi senza problemi a una procedura guidata dalla luce bianca. Sarà necessario sviluppare regole specifiche e forse anche tecnologie dedicate, per evitare che una soluzione pensata per semplificare finisca per complicare ulteriormente la gestione del traffico urbano.

Infine, non va sottovalutata la componente culturale. Abituare gli automobilisti a fidarsi di un algoritmo collettivo e a cedere parte del controllo a una macchina non sarà semplice. Serviranno campagne informative, feedback continui dai test e una progressiva costruzione della fiducia. In fondo, la vera sfida non è solo tecnica, ma anche sociale: solo se città, industrie e istituzioni sapranno lavorare insieme, la fase bianca potrà davvero trasformarsi da visione a realtà. Una sfida che, in un certo senso, riflette perfettamente la natura stessa di questa innovazione: coordinare, armonizzare, costruire un futuro in cui umano e macchina possano finalmente convivere sulle strade delle nostre città.

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