Dal 2026 l’auto non sarà più la stessa: cosa impone davvero Euro 7
Il conto alla rovescia è iniziato: dal 29 novembre 2026, il mondo dell’auto cambierà volto con l’arrivo della Euro 7, una rivoluzione normativa che rischia di rimescolare le carte in tavola per costruttori, consumatori e istituzioni. Una svolta che non si limita a una semplice stretta sulle emissioni, ma spalanca le porte a una serie di sfide tecniche, economiche e politiche che già oggi alimentano un acceso dibattito. Nel mirino, non solo i limiti di ossidi di azoto e particolato, ma anche il cuore stesso della mobilità endotermica, chiamata a reinventarsi tra nuove tecnologie e aumenti di prezzo che faranno discutere.
Il primo nodo riguarda l’introduzione obbligatoria dell’OBM (On-Board Monitoring), una vera e propria “scatola nera” digitale che promette di portare la trasparenza a livelli mai visti. Collegato a una rete di sensori, il sistema monitorerà in tempo reale tutti i parametri critici relativi alle emissioni, segnalando immediatamente ogni anomalia o superamento dei limiti direttamente al conducente. Un balzo in avanti che mira a colmare il gap, spesso imbarazzante, tra i risultati dei test di laboratorio e i valori effettivi su strada. Le autorità potranno così disporre di dati verificabili e difficilmente manipolabili, mettendo la parola fine alle furbizie che hanno minato la credibilità del settore negli ultimi anni.
Ma il progresso, si sa, ha un prezzo. E qui il confronto si fa rovente. Perché secondo le stime ufficiali, il nuovo pacchetto costi produzione porterà a un incremento medio di 2.000 euro per auto e furgoni endotermici, mentre per camion e autobus diesel si potrebbe arrivare a una stangata di ben 12.000 euro. Cifre che non lasciano indifferenti e che hanno subito acceso la miccia tra le diverse anime del comparto. A gettare benzina sul fuoco, i dati diffusi dall’ACEA (Associazione Europea dei Costruttori di Automobili), secondo cui i calcoli della Commissione Europea sarebbero ampiamente sottostimati: per l’industria, l’impatto reale rischia di essere da quattro a dieci volte superiore a quanto dichiarato da Bruxelles.
Non stupisce, quindi, che colossi come Volkswagen abbiano già messo le mani avanti, minacciando di abbandonare segmenti chiave del mercato come quello delle city car, dove i margini sono già ridotti all’osso e un rincaro fino a 5.000 euro per unità renderebbe il business semplicemente insostenibile. Una prospettiva che, se dovesse concretizzarsi, potrebbe cambiare per sempre il panorama della mobilità urbana, lasciando milioni di automobilisti senza alternative accessibili.
Sul fronte politico, la partita è tutt’altro che chiusa. Il governo italiano ha alzato le barricate, con il vicepremier Matteo Salvini in prima linea nel denunciare misure considerate penalizzanti sia per l’industria nazionale sia per i consumatori. In gioco, infatti, non c’è solo il futuro di fabbriche e posti di lavoro, ma anche l’equilibrio tra competitività industriale e la necessaria transizione verso una mobilità più sostenibile. Una tensione che rischia di cristallizzarsi in uno scontro frontale tra chi vede nell’innovazione una minaccia e chi, invece, la considera l’unica strada percorribile per ridurre l’impatto ambientale delle nostre città.
Non mancano, però, le voci fuori dal coro. Le organizzazioni ambientaliste e molti esperti di qualità dell’aria accolgono con favore la rivoluzione dell’OBM, considerandolo uno strumento chiave per abbattere realmente le emissioni nocive e proteggere le fasce più deboli della popolazione. La possibilità di individuare tempestivamente guasti o anomalie nei sistemi di scarico potrebbe tradursi in una drastica riduzione dell’esposizione agli inquinanti più pericolosi, con benefici tangibili per la salute pubblica.
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