Auto elettriche: in Europa le colonnine di ricarica ci sono, bisogna utilizzarle

Francesco Giorgi
12 Settembre 2018
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Un rapporto Transport&Environment indica che nell’Europa nord occidentale il mercato potrà fare a meno degli incentivi già nel 2015; al contrario, occorre investire sulla ricarica rapida in sud ed est Europa.

Gli strumenti ci sono: ciò che manca, è la volontà di impiegarli da parte degli “elettro-automobilisti”. Ci si riferisce alle colonnine per la ricarica delle auto elettriche, conditio sine qua non per lo sviluppo della mobilità a zero emissioni a livello globale. Che, puntualizza in questi giorni un rapporto a cura del network internazionale di associazioni Transport&Environment, sono ben presenti sulle strade europee – anche se in numero maggiore nei Paesi dell’Europa settentrionale ed occidentale, giudicati già in linea con le necessità di approvvigionamento energetico delle auto elettriche in una proiezione al 2020 -, tuttavia non vengono utilizzati “a pieno regime” dagli utenti. I quali sembrano preferire le “prese” domestiche e quelle sul posto di lavoro. In un raffronto percentuale, lo studio Transport&Environment evidenzia come, a tutt’oggi, appena il 5% dei proprietari di veicoli elettrici scelga le infrastrutture pubbliche per il “pieno” alle batterie.

L’analisi sullo stato dell’arte della copertura di “hub” per la ricarica in Europa affrontata da Transport&Environment è, in effetti, da tenere in considerazione in quanto spazza via il luogo comune, peraltro da tempo sotto i riflettori di alcuni analisti, secondo il quale principale imputato della scarsa diffusione dell’auto elettrica sia il basso numero di colonnine per la ricarica presenti sulle strade. In questo senso, il rapporto evidenzia il contrario: come detto, le infrastrutture ci sono (soprattutto nei Paesi del nord e dell’occidente europeo), ma vengono utilizzate molto meno rispetto al proprio bacino potenziale di utenti. Inoltre, l’Europa della nuova mobilità “emission free” assiste ad un notevole divario fra Nazioni del nord e dell’ovest, in contrapposizione ai Paesi dell’est e del sud (compresa l’Italia, dunque) dove il mercato dell’auto elettrica è più “acerbo”.

Il rapporto Transport&Environment arriva in un momento cruciale per il futuro della mobilità continentale: in questi giorni, sui taccuini delle priorità della Commissione Ambiente al Parlamento Europeo c’è la discussione su un eventuale inasprimento ai limiti delle emissioni di CO2 in un’ottica a medio termine (si parla di aumentare tale soglia al 45% entro il 2025): un provvedimento che, qualora venga varato, potrebbe portare ad una maggiore incidenza (le stime indicano un range oscillante fra il 5% ed il 7%) di nuove auto elettriche in circolazione, in Europa, sul totale delle nuove immatricolazioni.

Da qui una semplice deduzione: l’asset nei paesi dell’Europa settentrionale ed occidentale (che insieme rappresentano il 75% del mercato continentale di e-car e nei quali si localizza il maggior numero di veicoli elettrici) potrebbe essere in grado di sostenersi da se, senza che sia necessario il ricorso ad alcun incentivo, o quantomeno con piccoli provvedimenti da varare a seconda dei singoli Paesi, i quali in effetti potrebbero, nella proiezione a medio termine, decidere per una riduzione alle politiche di investimento pubblico nei confronti dello sviluppo di infrastrutture per e-mobility. Un panorama che gli analisti illustrano con questa ottica futura sulla base di quanto è già presente: nello specifico, mediamente nei Paesi del nord Europa, dove vengono posti in essere i progetti di incentivo più estesi, le arterie principali contano, in media, due “hub” di ricarica pubblica ogni 60 km. Un esempio su tutti viene rappresentato dalla Norvegia, Paese-guida (insieme alla Germania) per diffusione e vendita di auto elettriche: nel Paese scandinavo, l’incidenza di utenti che utilizzano le “prese” pubbliche di ricarica per i propri veicoli a zero emissioni è quadruplicata: dal 2% del 2014 al 10% del 2017. E occorre tenere conto che in Norvegia, fra i vari sistemi di ricarica, quello affidato alle colonnine rapide rappresenta l’unica tecnologia attualmente in crescita.

A fare da contraltare a questa situazione c’è il panorama nei Paesi dell’Europa centro-meridionale ed orientale, a sua volta ulteriormente “frazionato”. Se, ad esempio, in Italia, Spagna e Portogallo – con l’8% di auto elettriche immatricolate – l’assetto della e-mobility è più “timido”, nei Paesi dell’est siamo ancora più indietro, puntualizza il rapporto Transport&Environment: in Europa orientale, il volume delle immatricolazioni di auto elettriche incide in media per il 2% sul totale, conseguenza anche del fatto che il network di ricarica appare ancora più esiguo, sebbene, ammette lo stesso report, sia stata installata una rete di “hub” per la ricarica veloce: ben poca cosa, e in linea con un conclamato ritardo che, tuttavia, potrebbe rendere meno “drammatico” e urgente il processo di transizione verso la mobilità elettrica in quanto i volumi di vendita relativi dovrebbero restare indietro di alcuni anni rispetto ai Paesi dell’Europa settentrionale ed occidentale. Come dire, il tempo per adeguarsi non mancherà. A patto, puntualizza l’analisi Transport&Environment, che vengano poste in essere adeguate coperture finanziarie, soprattutto nei confronti delle colonnine di ricarica rapida che, in dieci Paesi UE, ammontano a meno di una stazione di ricarica ogni 60 km, con la situazione peggiore in Ungheria, Grecia, Romania e Bulgaria.

Il mercato, dunque, c’è: tutto sta ad organizzarlo. A questo proposito, una inchiesta pubblicata in queste ore da IlSole 24Ore mette in evidenza, sulla scorta di uno studio redatto dalla società di consulenza Alix Partner, come il totale degli investimenti da parte dei big player del comparto automotive per lo sviluppo di nuovi modelli ad alimentazione 100% elettrica e ibrida plug-in ammonti a 255 miliardi di dollari entro il 2025: un quantitativo, proiettato a sette anni, che di fatto decuplica gli stanziamenti finanziari messi sul tavolo dalle principali Case costruttrici negli ultimi otto anni. Alcune cifre: su tutti c’è la “big alliance” Renault-Nissan-Mitsubishi (66 miliardi di dollari); seguono, nell’ordine, i programmi VAG-Volkswagen Audi (49 miliardi di dollari), Hyundai-Kia (25 miliardi di dollari) e, via via, i piani oscillanti fra 8 e 12 miliardi di dollari da parte di Daimler-Benz, Ford, General Motors e FCA-Fiat Chrysler Automobiles, e gli stanziamenti da 6-7 miliardi di dollari messi sul tavolo da Jaguar Land Rover e Toyota.

Il servizio pubblicato dal quotidiano economico prende tuttavia in considerazione l’aumento dei costi di produzione delle batterie (prezzo del Nickel aumentato del 40% nel 2016-2017, triplicato quello del Cobalto; un eventuale aumento della domanda potrebbe ulteriormente far salire i prezzi) e, appunto, lo sviluppo delle infrastrutture di ricarica (a fine 2017 c’erano in tutto il mondo 424.000 colonnine, la metà delle quali in Cina): attualmente, la media mondiale si attesta su una densità di 7,6 auto elettriche per ciascun “hub”. Un trend destinato a salire, soprattutto se da parte di utility ed aziende private arrivino nuovi investimenti; non bisogna tuttavia sottovalutare l’eventualità che, per rientrare degli investimenti effettuati, non si decida di alzare i prezzi dell’energia per la circolazione dei veicoli elettrici, attualmente orientati su 3 centesimi al km.

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