Gli organizzatori della Pikes Peak si stanno interrogando se bandire le due ruote dalla prossima edizione, dopo il tragico incidente a Carlin Dunne.
L’ultima edizione della cronoscalata di Pikes Peak è stata contraddistinta dall’incidente del pilota di moto Carlin Dunne, che in sella a una Ducati Streetfighter V4 del team Spider Grips, a pochi metri dal traguardo ne ha perso il controllo, andando a impattare violentemente a terra. Purtroppo per il 36enne originario della California non vi è stato niente da fare. In questi giorni gli organizzatori della Pikes Peak si stanno interrogando su una decisione molto radicale, quella di chiudere per sempre con le moto. In passato per cinque volte le moto sono state escluse dalla corsa in via temporanea, questa volta potrebbe essere la sesta, ma sarebbe in via definitiva. Megan Leatham, direttrice esecutiva della gara, ha dichiarato: “Alla Pikes Peak non c’è spazio per gli errori penso che sia giusto ragionarci”.
A favore però della continuità delle moto nella famosa scalata, si è schierata la madre di Carlin Dunne, Romie Gallardo, che ricordando il sogno del figlio, si sta interrogando se porre il divieto alle due ruote sia la soluzione più giusta: “Carlin amava la montagna. Lo sfidava e lo attirava, chiamandolo a tornare continuamente. Lui le ha dato il dovuto rispetto. Era pienamente consapevole della sua capacità di “prendere”. Detto questo, so per certo che lui stesso non vorrebbe che in seguito al suo incidente le motociclette vengano bandite dalla competizione. Vorrebbe che imparassimo da questa tragedia. Incoraggerebbe le autorità preposte alla ricostruzione degli incidenti a fare ciò per cui sono stati addestrati e i funzionari di gara a mettere in atto ulteriori precauzioni di sicurezza. Non c’è nessun pilota che non sia consapevole del fatto che il loro amore per il loro sport potrebbe finire in un modo che a loro non piace. Nonostante ciò, il loro amore è così forte, che continuano a rischiare. Anche i familiari e gli amici dei piloti conoscono i rischi. Alcune persone semplicemente non possono, o non vogliono, capire il livello di impegno che i piloti provano nei confronti del loro sport. Tre giorni dopo l’incidente di Carlin un giornalista mi chiese: “Cosa ne pensi ora della gara?” Al che ho risposto: “Allo stesso modo in cui mi sentivo il 29 giugno, il giorno prima della caduta”. Per tutta la vita ho saputo che perderlo era una possibilità. Eravamo consapevoli del rovescio della medaglia di questo sport. Ero impegnata con lui e con i suoi sogni. Stava facendo ciò che amava. Quindi, chi siamo noi per portare via il sogno degli altri piloti di correre alla Pikes Peak International Hillclimb?