Tecnologie di propulsione: il futuro è mild hybrid

Francesco Giorgi
27 Settembre 2017
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Dieselgate, normative su emissioni e consumi sempre più stringenti, elevati costi di produzione: i big player automotive corrono ai ripari. L’”ibrido leggero” andrà gradualmente a sostituire il diesel? Forse sì.

Il futuro delle tecnologie di propulsione punterà più sull’ibrido leggero, a graduale discapito del diesel. È quanto affermano i massimi dirigenti delle Divisioni engineering dei big player automotive. Una strada recentemente intrapresa con lo sviluppo di Mercedes Classe S ed Audi A8, entrambe presentate al Salone di Francoforte 2017 andato in archivio lo scorso weekend; ma anche da parte dei “piani alti” Volkswagen, che sui taccuini delle priorità hanno in programma la realizzazione di una variante Golf mild hybrid. Suzuki, dal canto suo, sviluppa il sistema SHVS. Lo scorso marzo, in occasione del Salone di Ginevra, anche l’AD di FCA Sergio Marchionne aveva indicato alla stampa internazionale che, a medio termine, l’ibrido leggero a 48V potrà equipaggiare alcuni modelli di segmento inferiore.

E che il comparto automotive si appresti ad una “rivoluzione” (quanto piccola o grande, si vedrà nei prossimi anni) lo dimostrano recenti analisi, secondo le quali a medio-lungo termine il parco auto circolante in Europa conterà su una diffusione via via maggiore di nuovi modelli a propulsione ibrida leggera, tanto che fra meno di un decennio le vendite di autovetture mild hybrid potrebbero arrivare ad oltre il 50% sul totale delle delibere nei mercati UE.

I motivi di questo epocale passaggio di testimone sono vari, e tutti giustificativi verso un graduale passaggio a motorizzazioni eco friendly ma, nello stesso tempo, più semplici ed economiche – riguardo ai costi di produzione – del 100% elettrico, del “full-hybrid” o del plug-in  hybrid: l’improvviso Dieselgate che due anni fa esatti colpì come un macigno una parte dei propulsori turbodiesel del Gruppo VAG-Volkswagen Audi; il progressivo bando alla circolazione dei veicoli a gasolio dalle aree centrali delle città; e, dal punto di vista delle normative, il futuro contenimento dei valori di emissione di CO2 a 95 g/km fissato entro il 2021 (il problema, qui, interessa in misura minore i diesel, meno inquinanti nel CO2 rispetto ai benzina) e che comporterà ulteriori studi sull’elettronica di gestione in vista dell’introduzione, a livello comunitario, di standard più severi sui consumi. Si tratta di obiettivi la cui deadline è molto vicina (il 2021), dunque insufficiente a garantire una massiccia diffusione di nuovi modelli elettrici, full hybrid e plug-in hybrid.

Nasce da qui la necessità di provvedere a queste esigenze normative e di ambiente con una soluzione più rapida e che comporta spese tutto sommato sostenibili dalle Case auto: l’ibridazione leggera, o mild hybrid con impianto elettrico a 48V. Questo sistema, sviluppato da Continental all’inizio di questo decennio e, successivamente, adottato dalle major di componentistica automotive di primo equipaggiamento, si avvale di un impianto elettrico parallelo, alimentato da batterie a 48V con tecnologia al litio. Gli accumulatori supplementari lavorano insieme ad un motore elettrico di piccole dimensioni – le cui funzioni, in alcuni casi, vengono sostenute da un motorino d’avviamento “maggiorato” e collegato all’alternatore – accoppiato all’unità termica attraverso una cinghia o mediante l’albero motore. Il compito del “motorino” elettrico è di recuperare l’energia cinetica che si sviluppa nelle fasi di frenata.

Ne derivano, all’atto pratico, un consumo energetico inferiore (e, direttamente, una superiore efficienza) e una manciata di potenza in più, utile in accelerazione e in partenza dopo la frenata. Dati alla mano, l’attuale tecnologia mild hybrid permette una riduzione del 10% e anche oltre (fino al 20% nella circolazione urbana) in termini di consumo di benzina e di emissioni di CO2, in quest’ultimo caso assimilabili a quelle emesse dai moderni motori diesel.

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