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Ben 70.000 posti a rischio: l’Italia dell’auto cerca rifugio negli armamenti?

Di Vincenzo Calvarano
Pubblicato il 24 set 2025
Ben 70.000 posti a rischio: l’Italia dell’auto cerca rifugio negli armamenti?
Lo studio PwC segnala perdite di posti e PIL per l'industria automobilistica italiana. La riconversione verso gli armamenti la soluzione?

Nel cuore dell’industria italiana si sta consumando una crisi che non ha precedenti recenti: la storica filiera automobilistica nazionale rischia un tracollo che mette a repentaglio migliaia di posti di lavoro e una fetta importante di PIL. I numeri parlano chiaro e non lasciano spazio a interpretazioni: la produzione di veicoli leggeri è precipitata sotto le 600.000 unità nel 2024, segnando un crollo del 67% rispetto al 2000. Una debacle che, secondo lo studio “Regearing for Growth” realizzato da PwC Strategy& Italia, potrebbe costare oltre 70.000 posti di lavoro e generare una perdita di circa 10 miliardi di euro l’anno per l’economia nazionale. In un contesto così drammatico, si fa strada l’ipotesi di una riconversione strategica verso il settore della difesa, che potrebbe rappresentare un’ancora di salvezza per la filiera.

L’analisi del quadro produttivo non lascia spazio all’ottimismo: gli impianti lavorano a un ritmo medio del 38%, una percentuale che sembra lontana anni luce dal 72% registrato nel 2017. Il confronto con il resto d’Europa è impietoso: mentre il Vecchio Continente ha limitato il calo della produzione al 20%, l’Italia si trova a fare i conti con una vera e propria emorragia industriale. Particolarmente colpita è la filiera della componentistica, che si trova di fronte a una minaccia senza precedenti. Se non si invertirà la rotta, tra il 2025 e il 2027 potrebbero andare in fumo fino a 25 miliardi di euro di fatturato, con impianti che lavorano al 40-50% della capacità e una competitività sempre più compromessa.

La strada da percorrere?

In questo scenario, PwC suggerisce una strada che può sembrare inusuale, ma che si fonda su solide prospettive di crescita: la riconversione degli impianti verso il comparto della difesa. Gli investimenti nel settore sono destinati a crescere in modo esponenziale: dai 33,7 miliardi di euro del 2024 si prevede un balzo fino a 51,5 miliardi nel 2027, con una prospettiva di oltre 80 miliardi entro il 2035. L’incidenza sul PIL potrebbe così passare dall’1,5% attuale al 3,5%, trasformando la crisi in una possibile opportunità di rilancio.

Non si tratta di una semplice suggestione, ma di una possibilità concreta e tecnicamente fattibile. Come sottolinea Francesco Papi di PwC Italia, la crisi in atto coinvolge un comparto storicamente strategico per il Paese. Il collega Cesare Battaglia aggiunge che gli impianti automobilistici possono essere trasformati in asset fondamentali per la sicurezza europea. Un dato su tutti: già oggi il 16% dei fornitori italiani del settore lavora anche per la difesa. Tecnologie avanzate come i sistemi ADAS, sviluppati per l’automotive, sono facilmente adattabili a veicoli autonomi da combattimento e applicazioni militari, consentendo così di preservare l’occupazione e diversificare i ricavi aziendali.

Tuttavia, il percorso non è privo di ostacoli. Le difficoltà sono molteplici: dalle stringenti certificazioni di sicurezza ai rigorosi controlli sulle esportazioni, passando per i costi elevati della conversione degli impianti e la necessità di massicci investimenti in ricerca e sviluppo. Non meno rilevante è la questione della riqualificazione della forza lavoro: sindacati e associazioni di categoria sollevano forti dubbi sui tempi e sulle modalità di adattamento degli addetti, preoccupati per la perdita di competenze specifiche e per l’impatto sociale della trasformazione.

Dal punto di vista politico, l’aumento degli stanziamenti per la difesa potrebbe aprire la strada a nuovi accordi industriali e a una più stretta collaborazione tra ministeri, regioni e centri di ricerca. Tuttavia, per evitare che la transizione si trasformi in un salto nel buio, è indispensabile una visione strategica e coordinata. Gli esperti suggeriscono di puntare su incentivi fiscali per le tecnologie dual-use, bandi pubblici per progetti pilota e un supporto temporaneo alle imprese impegnate nella riconversione, con un occhio di riguardo alla formazione e all’aggiornamento dei lavoratori.

Le reazioni degli imprenditori sono tutt’altro che univoche: c’è chi vede nella riconversione un’occasione irripetibile per salvaguardare il tessuto produttivo e chi, invece, teme una perdita di identità per la storica industria automobilistica italiana. La posta in gioco è altissima: senza interventi decisi e coordinati, il rischio è quello di assistere a un declino irreversibile che danneggerebbe l’intera filiera, penalizzando export e territori a forte vocazione industriale.

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