Controlli alcoltest: 34enne positivo chiama un taxi ma anche il conducente è ubriaco
Nel cuore pulsante di Milano, dove le notti si animano tra luci, clacson e sogni che scorrono sull’asfalto, si è consumata una scena che sembra uscita da una sceneggiatura surreale, ma che invece racconta, con la crudezza dei fatti, quanto la realtà possa superare la fantasia. Protagonisti di questa storia sono due uomini, apparentemente distanti per età e professione, ma accomunati da un destino che, quella notte, li ha messi di fronte allo stesso bivio: quello della guida in stato di ebbrezza.
Tutto inizia con i controlli serrati dei carabinieri, che pattugliano le strade meneghine alla ricerca di chi, per imprudenza o leggerezza, mette a rischio la sicurezza di tutti. Un giovane automobilista, 34enne, viene fermato: il suo sguardo tradisce un velo di incertezza, ma sono i numeri a parlare chiaro. L’alcoltest – quell’implacabile giudice che non ammette scuse – segna 0,87 e 0,90 g/l. Numeri che non lasciano spazio a interpretazioni, perché sono quasi il doppio del limite consentito. Il ragazzo, colto in fallo, cerca una via d’uscita: chiama la madre, sperando che possa recuperare l’auto e, magari, evitare il sequestro amministrativo.
Il colpo di scena che non ti aspetti
Ma la notte ha in serbo una sorpresa che nessuno avrebbe potuto immaginare. La madre, nel tentativo di aiutare il figlio, si affida a un taxi. E qui la storia prende una piega inaspettata: quando il veicolo arriva, un dettaglio colpisce subito l’attenzione dei militari. Dall’abitacolo si sprigiona un odore acre, inequivocabile, che tradisce una presenza scomoda: quella dell’alcol. Il tassista ubriaco, un uomo di 64 anni, viene sottoposto allo stesso test, e anche per lui i valori sono eloquenti: 0,84 e 0,85 g/l. Se per il giovane automobilista le conseguenze sono gravi, per il tassista la situazione si fa ancora più delicata.
Per chi guida per professione, infatti, la legge non fa sconti: la tolleranza è zero. Non si tratta solo di una questione normativa, ma di un imperativo morale che si traduce in responsabilità verso i passeggeri e verso la collettività. Il rischio, in questi casi, è quello della revoca licenza, una sanzione che non colpisce soltanto il portafoglio, ma che mette in discussione la stessa dignità professionale di chi, ogni giorno, dovrebbe incarnare l’esempio della sicurezza stradale.
L’episodio, che ha portato a due denunce per guida in stato di ebbrezza, si trasforma così in uno specchio che riflette una realtà più ampia e inquietante. Non è solo il singolo automobilista occasionale a cadere nella trappola dell’azzardo: anche chi, per mestiere, dovrebbe essere il custode della prudenza, può inciampare. E allora ci si interroga: quanto è diffuso il fenomeno? Quante altre storie, meno eclatanti ma non meno gravi, si consumano ogni notte sulle nostre strade?
I carabinieri, in questa vicenda, hanno svolto un ruolo cruciale, dimostrando che i controlli non sono un mero esercizio di burocrazia, ma uno strumento fondamentale per la prevenzione. La loro attenzione, la capacità di cogliere anche i segnali più sottili – come quell’odore sospetto che ha tradito il tassista – sono la prova che la sicurezza stradale passa anche attraverso l’occhio vigile di chi presidia il territorio. Eppure, la domanda resta sospesa nell’aria: bastano i controlli a fermare una cultura che troppo spesso sottovaluta i rischi dell’alcol al volante?
La storia di quella notte milanese si chiude con due denunce, un veicolo sequestrato e una licenza appesa a un filo. Ma il vero nodo della questione resta aperto: come si può rafforzare la consapevolezza collettiva sui pericoli della guida in stato di ebbrezza? Quali strumenti servono per trasformare la paura della sanzione in una cultura della responsabilità? E soprattutto, come si può restituire fiducia a chi, salendo su un taxi, dovrebbe sentirsi al sicuro e non correre il rischio di affidarsi a un conducente poco lucido?
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