Auto, la UE cambia rotta: addio stop totale ai motori nel 2035
Nel cuore della recente svolta normativa, la UE ha sorpreso analisti e operatori del settore annunciando un cambio di rotta sulla tanto discussa transizione ecologica dell’auto. Non più una scadenza ineluttabile per il divieto motori a combustione fissata al 2035, bensì una nuova traiettoria: riduzione media delle emissioni di CO₂ del 90% per le flotte di nuove vetture rispetto ai livelli di riferimento, aprendo la porta a un ventaglio di soluzioni tecnologiche. Questo scenario, frutto di un compromesso che riflette la complessità del mosaico europeo, mette al centro del dibattito il futuro dell’industria automobilistica continentale, le sue strategie di investimento e le tensioni tra innovazione, tutela dell’occupazione e sostenibilità ambientale.
La decisione, maturata dopo settimane di trattative febbrili tra le cancellerie europee, porta la firma politica di Manfred Weber, leader del PPE, e della presidente Ursula Von der Leyen. Dietro le quinte, il pressing di paesi come la Germania del cancelliere Friedrich Merz e l’Italia guidata da Giorgia Meloni – insieme al premier polacco Tusk – ha avuto un peso determinante. Il risultato? L’abbandono del vincolo di un taglio 100% delle emissioni, inizialmente previsto anche per il 2040, in favore di una strategia più flessibile e orientata alla cosiddetta neutralità tecnologica. Un principio che consente ai costruttori di orientarsi tra ibridi avanzati, carburanti sintetici e altre soluzioni innovative, senza precludere del tutto la strada ai motori endotermici di nuova generazione.
Non si tratta di un semplice aggiustamento tecnico, ma di una svolta che rischia di ridefinire gli equilibri industriali europei. Per le case automobilistiche, il nuovo target del 90% rappresenta un traguardo comunque impegnativo, che impone una trasformazione accelerata dei processi produttivi e degli investimenti in ricerca e sviluppo. Tuttavia, la presenza di margini tecnici e di una maggiore flessibilità rispetto al precedente divieto assoluto offre spazio per una gamma di prodotti più diversificata, rispondendo sia alle esigenze di mercato che alle differenti realtà produttive dei vari Stati membri.
Sul fronte politico, i sostenitori della nuova linea sottolineano come il compromesso garantisca la tanto invocata stabilità industriale, preservando decine di migliaia di posti di lavoro e consentendo alle aziende di pianificare con maggiore certezza le proprie strategie di transizione. Un aspetto cruciale per paesi come la Germania e l’Italia, la cui filiera dell’auto rappresenta un pilastro economico e occupazionale. D’altro canto, le organizzazioni ambientaliste non hanno tardato a esprimere le proprie critiche, denunciando quello che viene percepito come un rallentamento nella corsa verso l’elettrificazione totale e temendo che la deroga al 100% di abbattimento delle emissioni possa tradursi in una sorta di “zona grigia” normativa, in cui motori termici più puliti ma ancora emissivi continuino a circolare.
Il nodo centrale resta quello delle definizioni operative: cosa significherà, nella pratica, raggiungere una “riduzione media CO₂ del 90%”? Quali tecnologie potranno essere effettivamente conteggiate? Gli ibridi plug-in, ad esempio, saranno considerati alla stregua dei veicoli full electric? E quale sarà il reale impatto dei carburanti sintetici sulle emissioni complessive? Interrogativi che pesano come macigni sia sulle strategie dei costruttori sia sulle aspettative dei consumatori, sempre più attenti ai temi della sostenibilità ma anche sensibili ai costi e alle prestazioni.
La scelta della UE di non imboccare la strada di un divieto categorico ma di puntare sulla neutralità tecnologica riflette la consapevolezza che la transizione verde non può essere imposta con un colpo di spugna, ma deve essere accompagnata da politiche industriali intelligenti, incentivi mirati e una solida infrastruttura di supporto. In questo senso, la decisione odierna segna una tappa importante di un percorso che resta ancora ricco di incognite, ma che punta a coniugare competitività, sostenibilità e salvaguardia sociale.
L’annuncio ufficiale della Commissione è atteso per martedì 16 dicembre, ma già ora è chiaro che il nuovo approccio avrà ripercussioni profonde sul futuro dell’industria automobilistica europea e sulla posizione della UE nello scacchiere globale della mobilità sostenibile. Un equilibrio delicato tra esigenze economiche, vincoli ambientali e pressioni politiche, in cui ogni scelta – anche la più tecnica – si carica di significati strategici e simbolici.
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