Auto blu in Italia: ad alcuni piace straniera

Fabrizio Brunetti
20 Giugno 2011
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Auto blu in Italia: ad alcuni piace straniera

La risposta alle critiche più frequenti scaturite dalla mia precedente “opinione” sull’utilizzo delle auto blu in Italia.

La risposta alle critiche più frequenti scaturite dalla mia precedente “opinione” sull’utilizzo delle auto blu in Italia.

Quasi mai torno sull’opinione già espressa, perché appunto è tale ed esprime solo il pensiero dell’opinionista, mettendo in conto sia i commenti favorevoli, sia quelli contrari.

In merito al mio articolo sulle auto blu in Italia, invece, vorrei tornare sui miei passi per le considerazioni con le quali alcuni lettori hanno argomentato il loro totale dissenso dal contenuto del pezzo.

Rappresentare l’Italia è un dovere, anche in auto

Il primo rilievo è proprio sull’equivoco alla base del ragionamento più frequente, che è poi alla base del comportamento non etico dei nostri rappresentanti. Il fatto che “non ci sia alcuna macchina italiana che possa essere equiparata ad un’Audi A6, o ad una A8, una BMW serie 5, una Mercedes classe E”.

Opinione legittima, seppure contestabile, ma che attiene proprio alle personali scelte di un consumatore, non invece al suo ruolo. Mi spiego meglio, chi fa il magistrato potrebbe preferire l’abito professionale dei giudici inglesi al triste camicione nero con i cordoni dorati dell’ordine italiano, ma non si sognerebbe mai di andare in udienza vestito da magistrato britannico. E lo farebbe perché il suo ruolo impone, indipendentemente dalle sue preferenze, il dovere di apparire come si aspetta chi osserva il suo ruolo.

Chi rappresenta l’Italia, e per questo appunto è stato eletto, non può scegliere secondo il proprio gusto l’ auto ufficiale, ma deve, sottolineo deve, rappresentarlo anche con l’utilizzo pubblico di un’auto italiana. Quindi, anche se le auto italiane che si confrontano con quelle tedesche fossero inadeguate al ruolo di ammiraglie, comunque dovrebbero essere preferite a qualsiasi altra scelta non italiana. Per esempio, in Francia la produzione di berline di lusso non brilla né per design ed eleganza, né per contenuti; a volte l’inadeguatezza di tali veicoli è addirittura imbarazzante come nel caso della Renault Vel Satis o della Citroen C6. Eppure queste vetture sono ampiamente utilizzate da tutta la classe politica francese a vari livelli, dal sindaco di provincia fino al Presidente della Repubblica.

Le auto italiane sottovalutate

In secondo luogo, se entriamo nel merito, io dissento totalmente dalle considerazioni sui prodotti automobilistici italiani. Per le cariche alte di stato (Presidenze del Consiglio, di Camera e Senato, Presidenza della Repubblica, Consiglio di Stato, Ministri, CSM, Consulta, tanto per citare i principali), che adottano vetture importanti e necessità di blindature di grado elevato, in questo momento, dopo la fine produzione della Thesis, l’offerta italiana a listino è limitata alla prestigiosa Maserati Quattroporte.

Ma entro la fine dell’anno la nuova Lancia Thema e la nuova Quattroporte saranno pronte al debutto. Non consumeranno di più di A8, Serie 7, Mercedes S e non avranno complessi d’inferiorità.

Per i ruoli intermedi, quelli delle A6, serie 5 e serie E, oltre alla nuova Thema, è in listino e lo resterà ancora per due anni anche l’ottima Alfa Romeo 159. Per giunta nel 2012 arriverà la nuova Maserati Baby Quattroporte, nata per confrontarsi direttamente proprio con le tre tedesche premium.

Per la middle class della politica – quella delle A4, delle Serie 3 e delle Classe C – che non ha alcun bisogno di blindatura, sarebbe utile e salutare indirizzare la scelta su Lancia Delta e Alfa Romeo Giulietta, come diverse amministrazioni comunali, provinciali e regionali hanno già fatto. Un po’ di sano downsizing con la scelta peraltro di due auto perfettamente comparabili con le tre tedesche.

Le nuove ammiraglie: italiane per adozione

Terzo punto, alcuni lettori hanno attribuito ad una “miope, anzi cieca politica Fiat” la carenza di prodotti italiani nei segmenti premium e si chiede se non c’era nessuna piattaforma italiana da utilizzare anziché ricorrere a quelle di Chrysler.

No, non c’era, è la nuda, concreta risposta e come tutta la storia recente e prossima futura dell’auto insegna, se non si possono spalmare gli spaventosi costi di sviluppo (18 volte maggiori in valori indicizzati rispetto a quelli degli anni ’80) su grandi volumi e condivisione di molti marchi e modelli, come fa egregiamente Volkswagen con Audi, Seat e Skoda ad esempio, non si possono produrre – non progettare – auto premium con ricavi accettabili.

In altre parole l’insuccesso della Thesis o le critiche autolesionistiche di Marchionne alla 159, non riguardavano la qualità o l’eccellenza progettuale delle due vetture, ma lo spaventoso divario tra costi e ricavi. Ora l’integrazione Fiat/Chrysler offre questa possibilità e sono fiducioso che l’offerta venga rapidamente ampliata con prodotti validi e via via più avanzati.

Chi rappresenta l’Italia deve a mio avviso utilizzare in ogni caso solo prodotti italiani. Nel mio piccolo, da giornalista automobilistico italiano, preferisco comprare italiano se c’è offerta di prodotto almeno confrontabile e ne sono fiero.

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