Renault-Nissan: resisterà l’alleanza che funziona?

Fabrizio Brunetti
10 Dicembre 2015
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Renault-Nissan: resisterà l’alleanza che funziona?

Stretta tra le mire di controllo del governo francese e la richiesta di Nissan di contare di più, l’alleanza più riuscita rischia di spezzarsi.

Stretta tra le mire di controllo del governo francese e la richiesta di Nissan di contare di più, l’alleanza più riuscita rischia di spezzarsi.

Carlos Ghosn, l’artefice, il simbolo stesso della fortunata storia a partecipazioni incrociate di Renault e Nissan, invidiata da tutti i concorrenti e citata sempre ad esempio di come si gestisce un’alleanza che funziona, da mesi sta cercando di esercitare tutta la pressione di cui è capace per trovare una ragionevole soluzione alla crisi profonda dell’alleanza ed alle concretissime minacce di uscirne da parte del costruttore giapponese, costola forte del gruppo, con i suoi numeri ed i suoi margini.

Ma com’è accaduto che una così bella coppia, un matrimonio così riuscito sia così vicino a scoppiare, cosa ha guastato un’unione che sembrava di ferro? I primi dissapori covavano già da tempo.

Nel 1999, anno in cui nacque l’alleanza, i rapporti di forza tra i due erano ben diversi e Renault si aggiudicò progressivamente il 43,4% di Nissan, cedendo solo un 15%, per giunta senza diritto di voto in consiglio, ai giapponesi.

Negli anni Nissan è cresciuta proporzionalmente molto più di Renault e da tempo il rapporto di forze sembrava troppo sbilanciato a favore dei francesi.

Il malumore del produttore giapponese – forte sul mercato americano da cui Renault è assente, che ha un valore almeno doppio a quello di Renault, anche in termini di vendite e profitti – è esploso lo scorso aprile, quando il governo francese ha acquisito un ulteriore 4,7% di Renault, di cui possedeva già un 15%, per assicurarsi, in base alle regole appositamente modificate dal governo transalpino, un doppio diritto di voto in consiglio.

Dunque Nissan chiede, anzi pretende pena la scissione dell’alleanza, di avere il 25% di Renault, tornando così ad essere il secondo azionista, ma anche di poter esercitare il diritto di voto che ritiene le spetti di diritto.

In mezzo alla guerra dichiarata, Ghosn sta cercando da mesi di raggiungere un faticoso punto di mediazione e forse riuscirà nel suo tentativo. Nessuno meglio di lui sa che la fine dell’alleanza danneggerebbe molto di più la “piccola” Renault rispetto alla più robusta Nissan, in gran salute e quindi la richiesta dei giapponesi è un punto irrinunciabile di un eventuale accordo.

Il fulcro dello scontro è la partecipazione dello stato alla gestione d’impresa, anche con il diritto di voto in consiglio. Di qui il tentativo, in corso, di ottenere dal governo francese, ferma restando la nuova quota azionaria pubblica, una concreta non ingerenza nella gestione manageriale, garantendo ad un management parzialmente riequilibrato nei rapporti di forza tra francesi e giapponesi, una libertà completa di movimento.

Il terreno di un accordo non può essere diverso da questo e il governo francese non potrà probabilmente tirare la corda più di tanto, essendo già oggetto di “sorveglianza” dagli organismi dell’Unione Europea che tutelano da sovvenzioni, esplicite o fittizie, le regole di correttezza del mercato unico.

Peraltro già nel 1999 il governo francese aveva fatto fallire, con una pesante ingerenza, la quasi conclusa fusione tra Renault e Volvo e ridotto il costruttore francese vicino alla soglia di sopravvivenza. In quelle circostanze arrivò la lungimirante alleanza con Nissan, allora più piccola e debole, che non solo salvò Renault, ma che ne ha consentito lo sviluppo proprio grazie al contributo fondamentale, anzi prevalente, del costruttore giapponese.

Se oggi “l’alleanza” occupa il terzo/quarto posto tra i produttori mondiali, la separazione sarebbe esiziale soprattutto per il costruttore francese, e di questo anche il governo francese ha consapevolezza.

A breve sapremo chi l’avrà spuntata e come, certo sarebbe un vero peccato se il simbolo dell’alleanza di maggior successo nell’automotive trovasse la sua fine per le ambizioni manageriali e di controllo di un governo, come quello francese, che ha di questi tempi ben altri temi e responsabilità da affrontare e risolvere.

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