Il piano FCA… tra ambizione e scetticismo

Fabrizio Brunetti
08 Maggio 2014
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Il piano FCA... tra ambizione e scetticismo

Obiettivi impossibili? Lo scetticismo degli analisti contrapposto all’audace sfida del piano di Fiat Chrysler.

Obiettivi impossibili? Lo scetticismo degli analisti contrapposto all’audace sfida del piano di Fiat Chrysler.

Al di là del dettaglio sulle singole novità dei marchi che compongono FCA, peraltro in qualche caso abbastanza generici viste le cancellazioni e le variazioni macroscopiche dei tre piani precedenti, ci sono alcuni numeri e affermazioni cruciali nell’esposizione del piano che proprio per il loro audace clamore hanno fatto crollare il titolo nel primo giorno di contrattazione del -11,69 %, con un parziale rimbalzo tecnico a recupero nel secondo del + 2,96%.

La lettura, evidente, è che il piano non convince analisti e investitori dei mercati finanziari.E dove non li convince? Tre sono secondo me i punti deboli o comunque rischiosi del piano, sui quali bisognerebbe fare un atto di fede per considerarli con ottimismo e si chiamano Alfa Romeo, capacità finanziaria del Gruppo e (alcuni) mercati emergenti.

Il primo, micidiale mix di fredda analisi razionale e di constatazione della imprevedibilità “emotiva” del mercato automobilistico mondiale, è lo scetticismo sull’obiettivo 400.000 definita per la rinascita di Alfa Romeo. Dopo la umiliante serie di “piani Alfa Romeo” svaniti nel nulla, o meglio nelle 74.000 unità prodotte nel 2013 rispetto alle soglie, via via diminuite da 500.000 a 300.000, dei piani precedenti, perché credere che in quattro anni il Biscione possa sottrarre clienti ai fortissimi BMW e Audi, più che a Mercedes, che contano di produrre e vendere 2 milioni di auto premium?

La risposta è in un’Alfa di altissimo livello qualitativo e prestazionale, premium vere, totalmente distinte dal “prodotto Fiat” (o Chrysler), con piattaforme, motorizzazioni, meccaniche e naturalmente stile “forte” e portabandiera di un’eccellenza distintiva tutta italiana, intesa come valore e appeal, come per Ferrari e Maserati.

Bello, bellissimo, fa gonfiare il cuore degli appassionati e fa leva sulla memoria storica dell’eccellenza dell’italianità motoristica, prevede produzione tutta italiana, 8 modelli e oltre 5 mld di euro di investimenti tra impianti e prodotti. Crederci o no? la risposta è impossibile, anche e soprattutto perché alla fine dei giochi, – dando per scontato che l’eccellenza di sostanza ci sia e non accadano disastrosi incidenti di percorso nella faticosa strada per il recupero di immagine come difettosità, richiami, cadute di qualità – come sempre, banalmente dirà qualcuno, la differenza la farà il gradimento per la linea, per l’immagine che un marchio forte deve trasmettere al potenziale cliente per distoglierlo dalla fidelizzazione per Audi e BMW.

Solo design allora la chiave del successo o dell’insuccesso? Così semplice? Sì, non perché lo dico io ma perché questa è l’oggettiva constatazione che il mercato dell’auto suggerisce. Un’auto che non cattura nello stile non vende, quali che siano i suoi contenuti di sostanza e il suo rapporto qualità/prezzo, mentre un’auto con un design emozionale vende, magari a caro prezzo, con un margine da “premium”, anche se il suo sottopelle è sostanzialmente simile a quello dei concorrenti o non ha particolari qualità distintive.

Lo sa bene Marchionne che tante volte e in particolare con le Alfa possibili, ha cancellato la definizione dello stile e ricominciato da zero alla ricerca della personalità forte. E’ la chiave dei successi attesi, come quelli legati all’identità di stile di marchio come BMW Serie 3, Audi A4, Golf, Porsche 911, che vendono perché sono uguali a se stessi, rassicuranti, o di quelli inattesi e innovativi, nella formula stilistica o nelle particolarità di stile, che fanno la fortuna del loro costruttore come i casi clamorosi di Mini, 500, Nissan Qashqai, Nissan Juke, Range Rover Evoque, BMW X6, Mercedes Classe A.

Insomma la super sfida della rinascita Alfa Romeo dipenderà in buona misura, dando per assunti capacità progettuale e produttiva, qualità, prestazionalità, rete commerciale, presenza nei mercati emergenti ricchi, essenzialmente dallo stile, da quanto una Giulia, una 164, un SUV, uno Spider Alfa Romeo trasmetteranno emozione forte, tanto forte da farle preferire ai perfetti prodotti tedeschi.

La seconda perplessità è legata alla prima, nel senso che gli analisti si chiedono quanto un gruppo con un indebitamento di 10 miliardi di euro sia in grado di sostenere piani d’investimento così impegnativi.La domanda è senza risposta e resta un dubbio.

Dalla sua Marchionne può vantare il “miracolo” Chrysler che vedeva gli analisti nel 2009 molto più scettici di oggi sulla possibilità per un piccolo produttore europeo, indebitato e appena uscito dalla minaccia del proprio fallimento acquisire senza capitali una Chrysler a sua volta in prefallimento dopo la gestione Mercedes!

Follia pura per i mercati finanziari, eppure il miracolo è riuscito ed oggi la liquidità del Gruppo viene quasi interamente da Chrysler. Auguri Alfa Romeo, saremmo orgogliosi che un miracolo si ripetesse, i mercati per ora non ci credono. E sì che il piano la spara grossa, anzi grossissima anche su Jeep, prevista in crescita da 800.000 a 1.900.000 pezzi nel 2018!

Eppure questa fanfaronata appare più credibile, Jeep è davvero marchio globale, forte, e lo sarà sempre di più, su tutti i mercati e specialista, anzi brand storico di riferimento, del settore di mercato che vede una crescita inarrestabile, quello dei SUV e Crossover. I dubbi naturalmente si estendono anche alla fattibilità dei risultati finanziari promessi dal piano industriale. Il quasi raddoppio di ricavi e margine operativo, un utile netto che cresce del 400% e un indebitamento che scende da quasi 10 mld a meno di 1 nel 2018 prospettano una situazione anche troppo rosea che si fa fatica a credere nelle sue dimensioni.

Ultimo punto debole sul quale il piano resta nel vago è la crescita, indispensabile, sul mercato cinese, su quello russo, indiano, negli Emirati. Il punto forte ancora una volta è Jeep sulla cui capacità di presenza e penetrazione pochi dubitano, quello debole gli altri marchi, Fiat in testa, che hanno il duro compito di affermarsi in mercati in cui le posizioni di forza sono saldamente presidiate, l’esempio di Volkswagen in Cina è da questo punto di vista eclatante.

Per il resto del piano stabile Dodge, che fatica a trovare una definizione fuori dal mercato americano, in grande crescita Chrysler con previsione di raddoppio, prudente e fisiologica la crescita prevista per Fiat il cui obiettivo, in linea con la “rivoluzione premium” che ispira la strategia, spinge sull’aumento dei profitti piuttosto che sui volumi.

E Lancia? Definitivamente accantonata, finisce tra le 80.000 unità, metà delle attuali, previste in Europa  come somma dei marchi Chrysler, Dodge, Ram e….Lancia. Che tristezza e che errore di strategia, avere il terzo marchio premium in casa, quello del lusso, anche un po’ snob e italianissimo, e non sfruttarlo una volta in produzione le piattaforme Alfa Romeo e Maserati.

Anzi personalmente rilancerei e destinerei a Lancia proprio le specialties, le vetture più esclusive da piccoli numeri e alti ricavi. Immaginate su basi Ferrari, Maserati, Alfa Romeo, non le Ypsilon, ma una gamma fatta di Fulvia HF (piccoli numeri e la base della 4C), Aurelia GranTurismo e Spider, superammiraglia flagship su base Quattroporte e che si chiama Flaminia, una supersportiva Delta Integrale, una Stratos… icone su ruote, piccoli numeri grandi ricavi. Un target massimo di 5.000 pezzi l’anno, lusso, glamour, esclusività, questo secondo me sarebbe l’utilizzo industrialmente vantaggioso di Lancia.

Invece nella fotografia del piano non c’è un posto per Lancia nel 2018 quando il marchio compirà 111 anni. Peccato, speriamo che qualcuno lo rilevi – Volkswagen, Suzuki, Subaru, Mercedes, Mazda – e lo riempia di contenuti di qualità degni della sua storia. In compenso, per consolarci e avere una ciliegina per le emozioni, oltre alla auspicata rinascita di Alfa, il ritorno di una specialty emozionale, la 124 Spider e la 124 Abarth, frutti dell’accordo con Mazda e dirottate dalla originaria destinazione di Spider Alfa.

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