Fiat e l’Italietta provinciale degli attacchi personali

Fabrizio Brunetti
20 Settembre 2012
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Fiat e l'Italietta provinciale degli attacchi personali

Un’opinione fuori dal coro sul caso Fiat (e Marchionne) che occupa l’attualità in questi giorni…

Un’opinione fuori dal coro sul caso Fiat (e Marchionne) che occupa l’attualità in questi giorni…

Ricominciamo! Sono sconcertato ed esterrefatto per l’artificiosità dei presunti argomenti di colpa di Sergio Marchionne, personificazione del male e manager incapace, simbolo di una Fiat fallimentare. Peccato che la realtà sia esattamente opposta e che il management Fiat, partendo da uno stato di prefallimento conclamato nel 2003, abbia non solo gestito la ripartenza del gruppo torinese, ma anche l’acquisizione del terzo produttore americano, ridotto alla soglia del fallimento dalla “illuminata” gestione di Mercedes, il più prestigioso degli autorevolissimi produttori tedeschi.

Dunque dove Daimler è miseramente fallita, la piccola, fragile, Fiat ha realizzato un autentico, indiscusso miracolo, nel quale nessuno credeva, e grazie ai risultati di Chrysler “fiattizzata” e del mercato brasiliano, tutto Fiat, nel quale il produttore torinese è leader, ha concluso il primo semestre di un disastroso 2012 in attivo. Il recessivo mercato europeo, recessivo per tutti e in tutti i mercati nazionali (ad eccezione della Gran Bretagna), incluso quello della ricca e solida Germania, non è certo recessivo per colpe strategiche del management Fiat e la soluzione è nelle fragili e incerte mani dei politici dell’Unione che faticosamente cercano un modo per sostenere i paesi più deboli e tra questi evidentemente Spagna e Italia.

In un contesto economico talmente critico da aver abbattuto i consumi, la disponibilità all’acquisto è drasticamente calata e l’auto ne ha fatto le spese in maniera pesante. Quella che sta messa peggio è la prestigiosa Peugeot, che brucia liquidità giorno per giorno e che chiuderà, per ora, lo stabilimento di Aulnay tagliando 8.000 posti di lavoro. Renault, nonostante Nissan, non sta molto meglio e senza la lungimirante alleanza col produttore nipponico e le Dacia low cost prodotte in Romania, starebbe peggio di Fiat senza Chrysler.

Anche Volkswagen, nonostante una lungimirante localizzazione produttiva che l’ha resa leader ad esempio in Cina, dove ha 12 stabilimenti di produzione, e il lancio della Golf VII ha già annunciato un calo ai propri fornitori del 10% nell’ultima parte dell’anno. General Motors con Opel, nonostante il completo rinnovamento della gamma – 7 nuovi modelli negli ultimi tre anni – continua a perdere in modo drammatico e il produttore americano non sa come liberarsene, dopo aver sperato nell’accordo con Peugeot per passare la palla e far gestire da altri l’inevitabile chiusura degli impianti tedeschi. Ford guadagna nel resto del mondo ma, in una situazione simile a quella di GM, perde pesantemente con Ford Europa.

Tutti i produttori, ad eccezione di Volkswagen, BMW e Mercedes sono stati costretti, come peraltro tutti gli studi e gli analisti consigliano, a rinviare il lancio di nuovi modelli che il mercato non è in grado di assorbire. E dunque come potrebbe un’azienda investire – come aveva previsto la Fiat prima della crisi europea con Fabbrica Italia immaginando un raddoppio della produzione degli stabilimenti italiani – per produrre auto che non sarebbero vendute, non perché sono sbagliate o inefficienti ma perché il consumatore non è in grado di acquistarle in momenti in cui il suo potere d’acquisto è fortemente compresso.

Lo sappiamo tutti, lo viviamo ogni giorno, ma per Fiat no, non vale. Gli altri possono adeguarsi realisticamente alla spaventosa contrazione della domanda; a Fiat no, si chiede di investire comunque per produrre auto che nessuno comprerebbe. Follia, equivale a chiederle di suicidarsi e la si tratta come se fosse un’istituzione sociale anziché un’impresa. E dunque l’imbarazzante balletto delle accuse di tradimento degli accordi (quali? quelli con i clienti che non acquistano auto?) , di perfido disegno di delocalizzazione completa dall’Italia, argomentando con sciocchezze in libertà come quelle di Della Valle o di Di Pietro, di caute e pie dichiarazioni dei politici in odore di preelezioni, di veementi accuse e proclami di scioperi e contenzioso della solita CGIL, di incerti imbarazzi delle altre organizzazioni sindacali.

Tutto come se il mondo dell’auto fosse l’Italia di trent’anni fa e la Fiat quella in stretto rapporto con la politica, il sindacalismo e le sovvenzioni pubbliche, appunto quella degli Agnelli e di sei piani quinquennali fa. Occorre forse sottolineare ancora una volta che questa Fiat non ha chiesto né ricevuto un solo euro pubblico, elargito invece con gran leggerezza a discutibilissimi imprenditori come Rossignolo o Di Risio, ma che ha rischiato e rischia con i suoi capitali. Ho sentito sciocchezze del tipo “ma Chrysler è stata acquistata grazie all’intervento del governo americano”, certo che ha fatto lo stesso con gli altri produttori USA, mettendo a disposizione finanziamenti ad un tasso del 7,2%, che Fiat ha utilizzato e sta restituendo in anticipo sugli impegni.

Con General Motors anzi il governo americano ha fatto anche di più assumendo temporaneamente parte della proprietà, per restituirla al privato non appena superata la crisi. Ford ha preferito farcela da sola senza ricorrere ai finanziamenti. Tutte e tre le grandi di Detroit sono rinate e continuano ormai per il secondo anno a macinare progressi di mercato e utili, ma delle tre Chrysler è quella che continua a mantenere un progresso positivo nettamente superiore. Dunque la “disastrosa inadeguatezza manageriale” di Marchionne ha prodotto una incredibile rinascita, fatti assolutamente indiscutibili, economia reale, nuovi posti di lavoro, non chiacchiere.

E ancora “Fiat produce dove riceve sostanziosi investimenti dal pubblico”. Certo, come tutti i suoi concorrenti, Volkswagen in testa, Fiat investe dove il costo di impianto, produzione e commercializzazione è più conveniente e quindi Spagna, Serbia, Romania, Bosnia, Polonia sono diventate sede di stabilimenti automobilistici di produttori europei, giapponesi, coreani. Perché gli altri possono farlo e Fiat no? Per uscire dal mercato con prodotti antieconomici? Ma Fiat ha avuto tanti soldi publici…dagli anni 50 agli anni 80. Allora ha goduto di vantaggi, oggi deve restituire parte di quello che ha avuto.

Capito che logica imprenditoriale, che visione macroeconomica? Purtroppo questa anomalia, tutta italiana, con l’intervento di tutti, ma proprio tutti, nella gestione di un’impresa privata che produce automobili, come se quell’impresa fosse pubblica, meraviglia tutti i media dei nostri vicini e concorrenti, abituati ad affrontare in modo concreto e senza strumentalizzazioni ideologiche e artificiose, i problemi nella loro sostanza. Giova forse ricordare che la commissione governativa del governo socialista francese di Francois Hollande, incaricata di analizzare il piano Peugeot che prevede la chiusura di uno stabilimento e la perdita di 8.000 posti di lavoro, ha realisticamente convenuto che la situazione rappresentata dal gruppo francese è reale.

Poi, e questo si rientra nei compiti della politica, ha raccomandato il governo ad adoperarsi per contenere la perdita di posti di lavoro, ricorrendo magari anche a sussidi e ricollocazioni professionali, ma ha riconosciuto che la rappresentazione della situazione di crisi fatta da Peugeot è inappuntabile. Da noi no, nel merito non si entra mai, i buoni e i cattivi sono a prescindere, il personalismo, la demonizzazione personale la regola, si è pro o contro Marchionne, indipendentemente dalla sostanza dei problemi. E così, mentre il Presidente del Consiglio incontra Marchionne, qualcuno invoca “convocazioni” dal governo, qualcun’altro si augura che Volkswagen compri Alfa Romeo e un produttore tedesco entri comunque a far concorrenza a Fiat in casa, sui muri delle nostre città cominciano ad apparire le scritte “Marchionne boia”.

Gran brutto segnale, clima e argomenti che indurrebbero un management accorto a ritirarsi progressivamente da una presenza italiana così pesante, complessa e costosa. Per fortuna il vertice Fiat, da Marchionne ad Elkann sembra ancora decisa a rimanere, a resistere, sperando che la crisi non duri in eterno. Al momento ci teniamo per certo il modernissimo impianto di Pomigliano che potrebbe produrre il doppio delle Panda che produce oggi se il mercato fosse in grado di assorbirle, la nuova Grugliasco, culla delle prossime Maserati, la Mirafiori destinata a produrre 500X e mini Jeep.Su Punto, Bravo, post Delta e post Giulietta, una sospensione.

Ne sapremo di più alla presentazione del piano industriale europeo il prossimo 30 ottobre. Quello americano prevede 66 novità nei prossimi tre anni, tra cui le nuove Alfa Romeo e Lancia. Forse sarà possibile concludere l’accordo esteso con Mazda e produrre per altri, per saturare così gli impianti anche in tempi di recessione del mercato. Speriamo, vedremo, ma per cortesia paliamo di cose serie non di aria fritta.Il futuro della Fiat italiana lo faranno le condizioni economiche dell’Europa e dell’Italia e naturalmente la validità dei modelli.

Fiat Punto 2012 e Fiat Punto 2012 TwinAir

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