Psicologia: per strade più sicure… via la segnaletica

Andrea Barbieri Carones
25 Febbraio 2011
Psicologia: per strade più sicure... via la segnaletica

Uno scrittore americano porta delle curiose teorie sulla psicologia di chi è al volante: dalle cause del traffico a come ridurre gli incidenti.

Uno scrittore americano porta delle curiose teorie sulla psicologia di chi è al volante: dalle cause del traffico a come ridurre gli incidenti.

Il traffico è colpa dei comportamenti degli automobilisti? Delle strade? O di entrambi? Approda in questi giorni in Italia il best seller “Traffic: Why We Drive the Way We Do (and What It Says About Us)” dello scrittore americano Tom Vanderbilt. Il libro mostra come i comportamenti di chi è al volante incidono sulle code e come le relative conseguenze vengono amplificate con l’aumentare delle auto in circolazione. E indica anche i meccanismi psicologici che si innescano quando si è in auto, completamente diversi da quando si è a piedi o in altre situazioni “sociali”.

Non manca un riferimento alla famosa “legge di Murphy” sull’andamento delle code: è provato che in condizioni di intenso traffico, su ciascuna corsia dell’autostrada transiti lo stesso numero di veicoli, con tempi di percorrenza sostanzialmente identici. Quindi è inutile cambiare continuamente corsia sperando di muoversi più velocemente (è consigliato invece mantenere la corsia più libera a destra).

Il lavoro di Vanderbilt porta anche qualche efficace esempio numerico sull’andamento non proporzionale del fenomeno “traffico”. Una diminuzione del 5% del traffico in una strada a “collo di bottiglia” può arrivare ad aumentare del 50% la velocità dei mezzi coinvolti. Se invece in una metropoli come Londra l’1% degli utenti dei mezzi pubblici usasse la propria auto, il volume delle macchine aumenterebbe del 5%.

E il parcheggio? Meglio restare fermi ad aspettare che si liberi un posto invece che girovagare per l’isolato. Ma psicologicamente, stare fermi “ci fa sentire vittime della situazione e siamo portati a sovrastimare le distanze che percorreremo a piedi dopo aver lasciato l’auto”.

L’autore del libro mette anche in correlazione l’alto rischio di incidenti (che lui preferisce chiamare “scontri”, dato che non sono mai casuali) con fattori che sembrerebbero invece aumentare la sicurezza: l’eccessiva cura della segnaletica o dell’illuminazione stradale e le grandi dimensioni delle strade che, paradossalmente, renderebbero più sicuri e protetti gli automobilisti, che quindi abbasserebbero il livello di guardia

Secondo le sue ricerche, per esempio, si passa più vicino ai ciclisti con in testa il casco di quanto si faccia con quelli senza casco, ritenuti più vulnerabili e quindi da difendere. I dissuasori di velocità sull’asfalto? Pericolosi: psicologicamente, infatti, si tende ad accelerare tra uno e l’altro per recuperare il tempo perduto rallentando per superarli. “E’ più probabile che investiremo una persona sulle strisce davanti al solito supermercato che frequentiamo ogni giorno, piuttosto che farlo su una strada tortuosa sotto il Machu Picchu” dice lo scrittore, sottolineando la pericolosità delle strade che si percorrono abitualmente.[!BANNER]

Soluzioni per rendere sicure le strade? “Abolire segnaletica, semafori, marciapiedi, ringhiere, zebre, strisce e aiuole di separazione, e spargendo su questa piatta superficie panchine e alberi che le macchine devono evitare”. 

Una soluzione alquanto curiosa e drastica, sostenuta da un ingegnere olandese, la cui filosofia è stata adottata in varie strade del continente come la High Street Kensington di Londra che in seguito ha visto un bassissimo tasso di scontri e investimenti.

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